La quinta sezione penale della Cassazione ha stabilito che il sindacalista ha il diritto di criticare l'operato della direzione a patto che non si tratti di "attacchi gratuiti ad personam", poiché questo fa parte della sua attività e non costituisce quindi reato. Con questa motivazione la Suprema Corte ha annullato una condanna per diffamazione inflitta dal Tribunale di Belluno ad un sindacalista, che aveva preso le difese di un agente di polizia poiché il commissario capo aveva disposto un ispezione del computer. Il sindacalista aveva accusato il dirigente ipotizzando che in quella condotta potessero ravvisarsi anche gli estremi di un reato. Assolvendo il sindacalista, la suprema Corte ha precisato che "le espressioni oggettivamente offensive contenute nello scritto erano tutte funzionali all'iniziativa sindacale e in sintonia con i pertinenti moduli espressivi che non debordavano dai limiti dell'esercizio del relativo diritto per risolversi in attacchi gratuiti ad personam". La Cassazione ha inoltre aggiunto che le accuse rivolte dal sindacalista al commissario di polizia "rientravano certamente nei limiti dell'attivita' di rappresentanza sindacale che tra i suoi compiti annovera anche quello della denuncia di situazioni, fatti o condotte ritenute non in linea con i doveri istituzionali".
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