"La mera sottoposizione all'autorità giudiziaria di fatti o atti per valutarne la rilevanza penale e per la verifica della integrazione di estremi di specificati titoli di reato non può avere riflesso nell'ambito del rapporto di lavoro, anche se connotato da un particolare vincolo di fiducia come quello del lavoratore con qualifica dirigenziale e non costituisce un comportamento di rilievo disciplinare sanzionabile con il licenziamento.". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 4707 del 23 marzo 2012, ha ribadito, come da consolidata giurisprudenza, che "l'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, solo se presenta modalità tali che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, si traducono in una condotta lesiva del decoro dell'impresa datoriale costituisce comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, integrando la violazione del dovere scaturente dall'art. 2105 cod. civ., e può costituire giusta causa di licenziamento. Ma, le opinioni espresse dal lavoratore dipendente, anche se vivacemente critiche nei confronti del proprio datore di lavoro, specie nell'esercizio dei diritti sindacali, non possono costituire giusta causa di licenziamento, in quanto espressione di diritti costituzionalmente garantiti dalla libertà di critica, salvo che il comportamento del lavoratore si traduca in un atto illecito, quale l'ingiuria o la diffamazione, o in una condotta manifestamente riprovevole.". Nella specie la corte d'appello ha rilevato che la contestazione disciplinare ha riguardato l'iniziativa assunta dal dirigente, con riferimento al contenuto di "denunce" rivelatesi infondate in esito al procedimento penale che anche da esse aveva tratto origine reputando che l'addebito di essersi rivolto alla autorità giudiziaria inquirente non fosse idoneo a sostenere il recesso datoriale per giusta causa e neppure comprovava la "giustificatezza" del licenziamento. Corretta - secondo i giudici di legittimità - la decisione della Corte d'Appello che ha motivato diffusamente e senza contraddizioni il proprio convincimento in ordine alla inidoneità degli esposti del dirigente all'autorità giudiziaria a ledere il rapporto fiduciario e a recare pregiudizio all'immagine aziendale.
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