Nel rapporto di lavoro a tempo determinato il dipendente non può legittimamente rassegnare le dimissioni prima della scadenza del termine se non per giusta causa, ma il difetto di giusta causa delle dimissioni non determina la nullità o l'inefficacia del recesso, con il conseguente diritto alla riammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni sino alla scadenza del contratto, dando viceversa alla controparte il diritto al risarcimento del danno qualora sia in grado di provare che la brusca ed immotivata cessazione del rapporto abbia compromesso l'attività aziendale. E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 6342 del 23 aprile 2012, ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore il quale sosteneva che solo un recesso assistito da giusta causa potesse avere idoneità risolutiva del rapporto di lavoro a termine intercorrente tra le parti, dovendo ritenersi prive di effetti e quindi tali da non incidere sulla continuità del vincolo contrattuale le dimissioni rassegnate in assenza di una causa che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto. In proposito la Suprema Corte sottolinea che "la dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea "ex se" a produrre l'effetto della estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi che abbiano determinato le dimissioni (a meno che queste ultime non siano inficiate dalla minaccia di licenziamento e risultino perciò viziate come atto di volontà) e dalla eventuale esistenza di una giusta causa, posto che, anche in tal caso, l'effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento illegittimo o ingiustificato, ad un atto negoziale del lavoratore, che è preclusivo di un'azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto. Precisano poi i giudici di legittimità che "anche in presenza di giusta causa del recesso, la questione se possa essere risarcito il pregiudizio derivante dall'effetto estintivo del rapporto determinato dalle dimissioni, rappresentato dallo stato di disoccupazione e dalla mancata percezione della retribuzione è stata risolta in termini negativi dalla giurisprudenza di legittimità, osservandosi che, in concreto, le scarse opportunità e condizioni di reimpiego offerte dal mercato per le energie lavorative costituiscono fattori estranei al sinallagma, sicché l'eventuale condizione sfavorevole in cui venga a trovarsi il lavoratore dimissionario non costituisce la conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del datore di lavoro e della risoluzione del rapporto che ne è conseguita." Inoltre ai sensi dell'art. 2119 c.c., così come il sistema preclude al datore di lavoro che licenzi il lavoratore inadempiente, di domandare il risarcimento del pregiudizio sofferto per trovarsi costretto a reperire sul mercato un nuovo collaboratore a condizioni meno vantaggiose, non è consentito al lavoratore dimissionario per giusta causa ottenere altro che l'indennità di preavviso a compenso del pregiudizio specifico determinato dalla risoluzione del rapporto.
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