Il medico che rilascia un nuovo certificato per prorogare il tempo di malattia a una paziente senza aver fatto una nuova visita commette reato e con lui va condannata anche l'assistita se ha fatto uso di quel certificato. L'avvertimento arriva dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 18687/2012) che ha convalidato la condanna inflitta ad un medico di base per falsa certificazione. Secondo la Corte è colpevole anche la paziente che a sua volta ha fatto uso del certificato. Irrilevante, secondo la Corte il fatto che il medico abbia già visitato la donna quando aveva emesso il primo certificato di malattia. Secondo gli Ermellini è necessario verificare anche le successive condizioni del paziente non potendo il medico basarsi solo su dichiarazioni fatte telefonicamente dall'assistita. Con questa motivazione la Corte ha reso definitiva la condanna ex art. 480 del codice penale inflitta a medico e paziente che in primo grado erano stati invece assolti perché il giudice aveva ritenuto non vi fosse la prova di una loro colpevolezza. Era stata la Corte di Appello a ribaltare il verdetto e a condanare i due imputati. In cassazione la sentenza d'appello è stata confermata. Nel corso del giudizio il medico ha tentato di difendersi sostenendo di aver operato regolarmente e di aver concesso la proroga del certificato di malattia in base a quanto aveva accertato appena quattro giorni prima. La paziente, a sua volta aveva sostenuto che nel suo caso non si poteva parlare di un certificato falso dato che la malattia sussisteva realmente. I giudici di piazza Cavour, respingendo i corsi, hanno affermato che "la falsa attestazione attribuita al medico non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che egli ha emesso il certificato senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti". In ragione poi alla asserita "natura colposa" della condotta, la Cassazione fa notare che il medico non potesse non essere consapevole "del fatto che egli stava certificando una patologia medica senza averla previamente verificata, nell'immediatezza, attraverso l'esame della paziente".
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