"Ai sensi dell'art. 7, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, in caso di irrogazione di licenziamento disciplinare, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia, ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore, questi non ha diritto ad un diverso incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poiché l'obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un'esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.". E' quanto affermato dalla Corte di Casszione che, con sentenza n. 8845 del 1 giugno 2012, ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore, licenziato a seguito di una reiterata serie di infrazioni disciplinari (insubordinazione, ritardo nelle consegne, accunulo di giacenza, ritardi o assenze sul lavoro), il quale sosteneva la violazione del procedimento previsto dall'art. 7 della L. 300/70, in quanto aveva chiesto di essere sentito a sua difesa durante l'orario di lavoro e presso la sua sede di lavoro e l'azienda aveva disatteso tale richiesta. La Suprema Corte precisa che, nell'ambito di un licenziamento per motivi disciplinari, il datore di lavoro non ha l'obbligo di ascoltare il dipendente che ne abbia fatto richiesta nella sua sede e nell'orario di lavoro ma può convocarlo anche altrove e fuori dell'orario di impiego purché ciò, per le difficoltà del caso, non si traduca in un violazione del diritto di difesa. Nella specie - precisano i giudici di legittimità - non sono stati evidenziati elementi per ritenere che la convocazione presso gli uffici preposti, secondo l'accertamento del giudice di merito, alla gestione del procedimento disciplinare, alle ore 14,30 (e dunque mezz'ora dopo la fine del turno di lavoro), rendessero difficile o gravoso l'esercizio del diritto di difesa. In merito poi alla presunta illegittimità della sanzione irrogata - si legge nella sentenza - la corte di merito ha correttamente ritenuto che i fatti addebitati, correttamente valutati nel loro complesso alla luce dell'istruttoria espletata, dimostrassero un pervicace ritardo nell'esecuzione della prestazione e delle direttive ricevute da parte del dipendente, connotato anche da un palese ostruzionismo nello svolgimento dei compiti affidatigli, manifestatosi anche attraverso la meticolosa pesatura della corrispondenza con rimozione di missive eccedenti di pochi grammi il peso convenuto, causando notevoli disservizi. Trattasi di accertamento di fatto logico e correttamente motivato, e pertanto insindacabile in questa sede di legittimità. Va inoltre considerato che in tema di licenziamento per giusta causa, spetta unicamente al giudice del merito -e non può essere sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o giuridici - l'accertamento che il fatto addebitato sia di gravità tale da integrare la fattispecie di cui all'art. 2119 cod. civ.".
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