Un "vaffa" rivolto al capufficio non basta per giustificare il licenziamento. Parola di Cassazione. Secondo gli ermellini, infatti, se l'offesa al superiore resta circoscritta nell'ambito di un solo episodio, non va a compromettere il rapporto fiduciario con l'azienda. Per questo, la suprema Corte (sentenza 10426/2012) ha respinto il ricorso di un'azienda che si era opposta alla reintegra di un dipendente che aveva mandato a quel paese una superiore gerarchica. Il caso era finito nelle aule di giustizia principalmente per il fatto che l'offerta era stata rivolta ad un superiore donna. Dopo il "vaffa" il lavoratore era stato licenziato ma il tribunale di Chieti aveva annullato il licenziamento facendo rilevare appunto che l'offesa era stata episodica.
La decisione veniva confermata anche dalla Corte d'Appello. Ricorrendo in Cassazione l'azienda aveva sostenuto la legittimità del licenziamento data la condotta del dipendente che doveva considerarsi "gravemente ingiuriosa e intimidatoria al superiore gerarchico donna deriso e apostrofato".
Respingendo il ricorso la Suprema Corte ha confermato il doppio verdetto evidenziando che la motivazione dei giudici di merito "appare congrua e logicamente coerente e supportata da precisi ed univoci riferimenti alle risultanze processuali che hanno consentito di ridimensionare la gravita' dei fatti e di circoscrivere l'episodio che, sia pure censurabile, non dimostra la volonta'" del dipendente "di sottrarsi alla disciplina aziendale e di insubordinarsi, essendo rimasto nei limiti di una intemperanza verbale". Insomma un comportamento che va si censurato, ma che non può essere sanzionato con un licenziamento.
La decisione veniva confermata anche dalla Corte d'Appello. Ricorrendo in Cassazione l'azienda aveva sostenuto la legittimità del licenziamento data la condotta del dipendente che doveva considerarsi "gravemente ingiuriosa e intimidatoria al superiore gerarchico donna deriso e apostrofato".
Respingendo il ricorso la Suprema Corte ha confermato il doppio verdetto evidenziando che la motivazione dei giudici di merito "appare congrua e logicamente coerente e supportata da precisi ed univoci riferimenti alle risultanze processuali che hanno consentito di ridimensionare la gravita' dei fatti e di circoscrivere l'episodio che, sia pure censurabile, non dimostra la volonta'" del dipendente "di sottrarsi alla disciplina aziendale e di insubordinarsi, essendo rimasto nei limiti di una intemperanza verbale". Insomma un comportamento che va si censurato, ma che non può essere sanzionato con un licenziamento.
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