Ancora una volta la Corte di Cassazione torna pronunciarsi in materia di danno da vacanza rovinata. Cosa curiosa è che questa volta vi è stato anche il problema del prolungamento forzato del viaggio di nozze dovuto al fatto che non era stata indicata con esattezza la data del rientro. La decisione è della terza sezione civile della Corte (Sentenza n. 7256/2012) che, pur avendo dichiarato inammissibili molti dei motivi di ricorso per "difetto di autosufficienza" non essendo stati riprodotti nel ricorso i contenuti documenti richiamati, si è soffermata ad affrontare le questioni relative al danno non patrimoniale. La questione centrale sottoposta all'attenzione della Corte è se, "nell'ipotesi di inadempimento o inesatta esecuzione del contratto rientrante nella disciplina che regola, in adempimento della direttiva n. 90/314/CEE, i "pacchetti turistici" (contenuta nel d.lgs. n. 111 del 1995, rilevante ratione temporis, poi riprodotta, senza modificazioni, per la parte di interesse, nel d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, "Codice di consumo"), il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, in senso stretto, quale pregiudizio conseguente alla lesione dell'interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, e quindi, quando non vengano in rilievo lesioni all'integrità psicofisica tutelate dall'art. 32 Cost., sia risarcibile, ex art. 2059 cod. civ., che, secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, stante il carattere tipico della tutela di interessi non connotati da rilevanza economica, necessita di una fonte normativa ordinaria espressa, o del fondamento costituzionale, in riferimento ai diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost., 4, 13, 29, 30), e al diritto alla salute (art. 32 Cost.), o di una fonte comunitaria, in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno (Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972)". Una domanda cui la Corte dà una risposta positiva.
La Corte ha ricordato alcune precedenti decisioni in cui aveva divenuto la legittimità di tale danno non patrimoniale. "Nel rigettare il ricorso avverso sentenza che l'aveva riconosciuto, ne ha individuato il fondamento, "non nella generale previsione dell'art. 2 Cost., ma proprio nella cosiddetta vacanza rovinata (come legislativamente disciplinata)" (Cass. 4 marzo 2010, n. 5189). Da ultimo (Cass. 20 marzo 2012, n. 4372) ha cassato una decisione che lo aveva negato, affermando che la risarcibilità di tale danno "è prevista dalla legge, oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea". In effetti, la legislazione di settore concernente i "pacchetti turistici", emanata in attuazione della normativa comunitaria di tutela del consumatore, nell'ambito dell'obiettivo dell'avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri della Comunità Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia CE, ha reso rilevante l'interesse del turista al pieno godimento del viaggio organizzato, come occasione di piacere o riposo, prevedendo il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali (disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata) subiti per effetto dell'inadempimento contrattuale. La Corte di Giustizia, già nel 2002 (sentenza 12 marzo 2002, n. 168), pronunciandosi in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE, ha affermato che il suddetto articolo "deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso", mettendo in evidenza che nel settore dei viaggi turistici si segnalano spesso "danni diversi da quelli corporali", "al di là dell'indennizzo delle sofferenze fisiche" e che "tutti gli ordinamenti giuridici moderni [riconoscono]... un'importanza sempre maggiore alle vacanze".
La Corte fa anche notare che qualora si discuta di danni non patrimoniali per disagi e fastidi minimi, spetta al giudice di merito individuare il superamento o meno di tale soglia minima dato che mancano delle delimitazioni normative. Una volta provato l'inadempimento del contratto relativo al pacchetto turistico e allegato di aver subito un danno non patrimoniale da vacanza rovinata non è necessario fornire prove ulteriori per ottenere il risarcimento giacché, spiega la Corte, una volta raggiunta la prova dell'inadempimento deve darsi per provato anche il verificarsi del danno anche perché gli stati psichici interiori della parte non possono essere oggetto di una prova diretta e vanno quindi desunti dalla mancata realizzazione della "finalità turistica".
Continua a leggere: alcuni passaggi significativi della motivazione
La Corte ha ricordato alcune precedenti decisioni in cui aveva divenuto la legittimità di tale danno non patrimoniale. "Nel rigettare il ricorso avverso sentenza che l'aveva riconosciuto, ne ha individuato il fondamento, "non nella generale previsione dell'art. 2 Cost., ma proprio nella cosiddetta vacanza rovinata (come legislativamente disciplinata)" (Cass. 4 marzo 2010, n. 5189). Da ultimo (Cass. 20 marzo 2012, n. 4372) ha cassato una decisione che lo aveva negato, affermando che la risarcibilità di tale danno "è prevista dalla legge, oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea". In effetti, la legislazione di settore concernente i "pacchetti turistici", emanata in attuazione della normativa comunitaria di tutela del consumatore, nell'ambito dell'obiettivo dell'avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri della Comunità Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia CE, ha reso rilevante l'interesse del turista al pieno godimento del viaggio organizzato, come occasione di piacere o riposo, prevedendo il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali (disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata) subiti per effetto dell'inadempimento contrattuale. La Corte di Giustizia, già nel 2002 (sentenza 12 marzo 2002, n. 168), pronunciandosi in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE, ha affermato che il suddetto articolo "deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso", mettendo in evidenza che nel settore dei viaggi turistici si segnalano spesso "danni diversi da quelli corporali", "al di là dell'indennizzo delle sofferenze fisiche" e che "tutti gli ordinamenti giuridici moderni [riconoscono]... un'importanza sempre maggiore alle vacanze".
La Corte fa anche notare che qualora si discuta di danni non patrimoniali per disagi e fastidi minimi, spetta al giudice di merito individuare il superamento o meno di tale soglia minima dato che mancano delle delimitazioni normative. Una volta provato l'inadempimento del contratto relativo al pacchetto turistico e allegato di aver subito un danno non patrimoniale da vacanza rovinata non è necessario fornire prove ulteriori per ottenere il risarcimento giacché, spiega la Corte, una volta raggiunta la prova dell'inadempimento deve darsi per provato anche il verificarsi del danno anche perché gli stati psichici interiori della parte non possono essere oggetto di una prova diretta e vanno quindi desunti dalla mancata realizzazione della "finalità turistica".
Continua a leggere: alcuni passaggi significativi della motivazione
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: