Non è reato accusare di pedanteria chi fa perdere tempo con 'questioni di lana caprina' attardandosi in questioni inutili, sottili e oziose. Lecito quindi apostrofarlo con il termine 'lanacaprinista'. E' quanto afferma la quinta sezione penale della Corte di Cassazione secondo cui non è reato mettere in evidenza l'altrui pesantezza nelle discussioni. Nel caso preso in esame dei giudici di piazza Cavour il termine, che si assumeva offensivo, era stato riferito ad un avvocato che era solito perdersi in una "inutili astrazioni". L'epiteto di 'lanacaprinista' era stato anche pubblicato su un periodico. Secondo la corte (Sentenza n. 24118/2012) anche se il termine può aver toccato la suscettibilità dell'avvocato che era stato così apostrofato, non può però considerarsi come avente una valenza denigratoria.
Come si costruisce nel testo della sentenza, sul periodico 'l'Informatore' si era scritto: "l'avvocato [...] pensi a fare il penalista non il lanacaprinista'. Ne scaturiva una denuncia penale e sia il direttore del periodico, sia l'autore dell'articolo finivano sotto processo per diffamazione.
Condannati in primo grado e poi assolti dalla corte d'appello di Bari, La procura si è rivolta in Cassazione. Bocciando il ricorso la Suprema Corte ha spiegato che "il termine 'lanacaprinista' rimanda alle 'questioni di lana caprina' di cui vengono accusati coloro che si attardano in dispute sottili e oziose, che non hanno rilevanza concreta".
In sostanza con questo termine si vuole designare "una persona priva di senso pratico, che disputa per il piacere di discutere e di sottilizzare, senza che la sua fatica, correlativa a quella degli ascoltatori, presenti un costrutto apprezzabile".
Sicuramente, spiega la corte, si tratta di un termine "poco felice" ma deve considerarsi simile ad altri ugualmente diffusi, quali "sofista, filosofo e via dicendo, che denotano la tendenza all'astrazione e alle complicazioni inutili".
Insomma se una persona è pedante non può poi sentirsi offesa quando la sua pedanteria gli viene rinfacciata.
Come si costruisce nel testo della sentenza, sul periodico 'l'Informatore' si era scritto: "l'avvocato [...] pensi a fare il penalista non il lanacaprinista'. Ne scaturiva una denuncia penale e sia il direttore del periodico, sia l'autore dell'articolo finivano sotto processo per diffamazione.
Condannati in primo grado e poi assolti dalla corte d'appello di Bari, La procura si è rivolta in Cassazione. Bocciando il ricorso la Suprema Corte ha spiegato che "il termine 'lanacaprinista' rimanda alle 'questioni di lana caprina' di cui vengono accusati coloro che si attardano in dispute sottili e oziose, che non hanno rilevanza concreta".
In sostanza con questo termine si vuole designare "una persona priva di senso pratico, che disputa per il piacere di discutere e di sottilizzare, senza che la sua fatica, correlativa a quella degli ascoltatori, presenti un costrutto apprezzabile".
Sicuramente, spiega la corte, si tratta di un termine "poco felice" ma deve considerarsi simile ad altri ugualmente diffusi, quali "sofista, filosofo e via dicendo, che denotano la tendenza all'astrazione e alle complicazioni inutili".
Insomma se una persona è pedante non può poi sentirsi offesa quando la sua pedanteria gli viene rinfacciata.
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