"Integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, avendo concordato con la struttura ospedaliera lo svolgimento dell'attività professionale consentita dal D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270 (intra moenia) e, ricevendo per consuetudine dai pazienti (anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell'ente) le somme dovute per la sua prestazione, ne ometta il successivo versamento all'azienda sanitaria. Infatti per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attività intramuraria (la quale è retta da un regime privatistico), detta qualità deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che la prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell'amministrazione.". Questo è il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 33150 del 23 agosto 2012. Nel caso di specie assume rilevanza non già l'attività professionale, ma la virtuale sostituzione del medico ai funzionari amministrativi nell'attività pubblica di riscossione dei pagamenti. Infatti la Suprema Corte specifica che il medico convenzionato, pur non potendosi qualificare dipendente pubblico, riveste la qualità di pubblico ufficiale per la parte della sua attività inerente al versamento delle somme che, in base alle norme vigenti in materia di attività intra moenia, sono dovute alla azienda sanitaria, sicché è configurabile il reato di peculato nell'ipotesi in cui tale soggetto si appropri di tali porzioni ricevute dai pazienti. Diversa è la visione della Corte quando il medico, oltre all'attività inta moenia regolarmente autorizzata dalla Asl., svolge anche altra attività medica non autorizzata in un secondo studio. Non si configura attività fraudolenta (truffa) in relazione a tali prestazioni in quanto sono state da lui regolarmente effettuate senza artifici o raggiri.
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