Per fortuna per una brutta (o bella, fate voi) esperienza, ne esistono tante altre - non così famose certamente- positive e valide. C'è una miriade di iniziative nell'ambito carcerario che puntano a coinvolgere detenuti, cercando di insegnar loro una professione. Spendibile non solo in ambito carcerario ma anche una volta usciti. Da anni onlus e cooperative si impegnano in questo versante, puntando principalmente su lavori che richiedono abilità manuali, come quelle artigianali (dalla sartoria alla ceramica). E recentemente si sono buttati in una delle attività più gettonate: lo chef . Sono nati corsi, veri e propri laboratori " in house " (o sarebbe meglio dire " in jail "), per insegnare l'arte della pasticceria o della pizza, ma in grande stile, puntando sull'eccellenza che per fortuna ancora contraddistingue la nostra cucina. 60 gli istituti penitenziari coinvolti, per un totale di 400 detenuti, a cui si aggiungono altri 220 provenienti dalle colonie agricole dalla Sardegna a Gorgona; per un totale del 4,4% dei detenuti in Italia.
A sentire i nomi di questi progetti, come "Dolci Evasioni" (50 chili di dolci al giorno prodotti da 4 detenuti) o "Pausa Caffè" (torrefazione di caffè e lavorazione del cacao, a Torino), si resta affascinati (e sprge anche il dubbio che siano frutto di una precisa strategia di marketing, non solo di benevolenza) e viene subito voglia di assaggiare qualche prelibatezza. Oppure si prendere parte ad una delle "Cene galeotte" del carcere di Volterra, cene d'autore con cadenza mensile che hanno avuto il riscontro di ben 900 ospiti esterni. Non poteva mancare in terra italica anche l'iniziativa "Finché c'è pizza c'è speranza", presso il carcere minorile di Nisida, con la sponsorizzazione della catena di ristoranti Fratelli La Bufala, per imparare l'arte dei pizzaioli napoletani. Premio finale del corso è un posto in uno dei ristoranti del gruppo.
Un bel modo di "evadere" dalla monotonia della vita carceraria.
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