Far scrivere ad uno studente di 11 anni per cento volte "sono un deficiente" sul quaderno è reato. È quanto stabilito dalla Cassazione, che ha confermato la condanna in appello nei confronti di una professoressa che aveva sottoposto un suo alunno alla bizzarra punizione. Secondo la sentenza della Suprema Corte, l'insegnante, con cattedra in una scuola media statale di Palermo sarebbe stata colpevole di "aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina" nei confronti dell'alunno, di averlo "mortificato nella dignità" venendo meno al "processo educativo in cui è coinvolto un bambino". Nessuna giustificazione quindi per la professoressa, che avrebbe punito l'allievo a causa di "un atteggiamento derisorio ed emarginante nei confronti di un compagno di classe".
"Non può ritenersi lecito l'uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti", sottolinea parte del testo della sentenza, nel quale è aggiunto che "non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono".
Nonostante la condanna a 15 giorni di reclusione, all'insegnante è stato tuttavia riconosciuto uno sconto di pena a fronte dei 30 giorni inizialmente stabiliti. Non sarebbe sussistita infatti l'aggravante che era stata ipotizzata dopo che uno psicologo aveva ipotizzato che la condotta della docente avrebbe innescato nel giovane un disturbo del comportamento.
"Non può ritenersi lecito l'uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti", sottolinea parte del testo della sentenza, nel quale è aggiunto che "non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono".
Nonostante la condanna a 15 giorni di reclusione, all'insegnante è stato tuttavia riconosciuto uno sconto di pena a fronte dei 30 giorni inizialmente stabiliti. Non sarebbe sussistita infatti l'aggravante che era stata ipotizzata dopo che uno psicologo aveva ipotizzato che la condotta della docente avrebbe innescato nel giovane un disturbo del comportamento.
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