E il Tribunale di Messina, nel 2009, le ha dato pienamente ragione, riconoscendo la violazione della privacy e ordinando la rimozione dell'impianto. Sottolineando anche che il posizionamento di telecamere sia avvenuto dopo due anni dalle minacce, mettendo dunque in dubbio che fosse quello il motivo reale di tale scelta. Che ci fossero dubbi sulla integrità morale della cognata poco ci importa. Ed ancor meno alla Cassazione, a cui il proprietario ha fatto ricorso, per poter far valere il suo diritto di spiare...ehm, controllare i movimenti all'ingresso dello stabile.
La Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza, facendo notare che "se l'azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti (nella specie si tratta dello spazio, esterno del fabbricato, intercorrente fra il cancello e il portone d'ingresso), il titolare del domicilio non può accampare una pretesa alla riservatezza". Sottolineando anche che "i luoghi sottoposti a videosorveglianza sono destinati all'uso di un numero indeterminato di persone e di conseguenza la tutela penalistica non si estende alle immagini eventualmente qui riprese".
Forse che la signora abbia deciso di andare a vivere lontano da occhi indiscreti?
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