Il diritto di asilo si traduce nel diritto soggettivo di accedere in Italia esperire la procedura per acquisire status di rifugiato con la conseguenza che, in caso di esito negativo dell'istruttoria, permesso di soggiorno temporaneo garantito per il periodo dell'istruttoria non ha più validità. È questo il principio di diritto emesso dalla sesta sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 15389, depositata il 13 settembre scorso. In particolare, la sentenza ha come protagonista un cittadino curdo, vicino al partito DTP, il partito per una società democratica, la principale forza politica curda in Turchia, messo fuori legge nel 2009, in quanto ritenuto vicino al partito PKK. Nella sentenza in esame, la Corte ha confermato quanto stabilito dalla Corte di Appello di Lecce che, ritenendo insussistenti i motivi di protezione umanitaria, respingeva le richieste del cittadino curdo. Gli Ermellini hanno in proposito spiegato che il diritto di asilo deve intendersi come diritto soggettivo di accedere al territorio nazionale al fine di esperire la procedura per acquisire lo status di rifugiato e quindi di ottenere il permesso di soggiorno temporaneo previsto dall'art. 1 comma 5 del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416 convertito in L. 28 febbraio 1990 n. 39 per la durata della relativa istruttoria, con la conseguenza che l'esito negativo della procedura priva di qualsiasi giustificazione il permesso di soggiorno, essendo quest'ultimo strumentale a consentire la permanenza nel territorio dello Stato solo fino all'esito della procedura. Secondo la ricostruzione della vicenda, in seguito al diniego avverso la sua domanda di riconoscimento del diritto allo status di rifugiato. La Corte di Appello di Lecce, investita del reclamo, respingeva il ricorso, ritenendo insussistenti le condizioni per il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato ex art. 1 della Convenzione di Ginevra, in considerazione della inattendibilità delle stesse dichiarazioni del ricorrente sul rischio di persecuzioni a suo carico o sul pericolo di gravi danni in conseguenza della sua appartenenza all'etnia curda e della sua vicinanza al partito DTP, negando la sussistenza di concreti motivi di protezione umanitaria tali da giustificare la concessione di un permesso di soggiorno. La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello di Lecce, rigettava il ricorso (con cui l'uomo aveva eccepito, tra gli altri motivi, il mancato esercizio dei poteri ufficiosi del giudice per la complessiva valutazione della situazione reale del paese di provenienza, doveri imposti ex art. 8 del d.lgs. 25/2008 e dalla stessa giurisprudenza della Corte (SS. UU. n. 27310/2008) che disegnano un ruolo attivo del giudice nell'istruzione della domanda di protezione internazionale), spiegando che il motivo "appare del tutto astratto e si sostanzia in una richiesta di riedizione del giudizio di merito sul solo presupposto del mancato espletamento dei poteri ufficiosi di indagine al fine di istruire la domanda di protezione internazione, poteri il cui esercizio resta comunque affidato alla decisione discrezionale del giudice del merito sulla base di una valutazione complessiva delle circostanze addotte e documentate o provate dal richiedente, della sua attendibilità, delle informazioni disponibili attraverso la consultazione dei media sulla situazione del paese di provenienza, della effettiva possibilità di acquisire informazioni più pregnanti e più specificamente attinenti alla situazione soggettiva del richiedente mediante la richiesta di assistenza alla pubblica amministrazione o ad organismi non governativi. Il ricorso - conclude la Corte - non contiene alcune deduzione specifica in base alla quale la valutazione della Corte di appello di Lecce possa ritenersi carente per la mancata considerazione di uno dei profili sopra indicati".
Consulta testo sentenza n. 15389/2012
Consulta testo sentenza n. 15389/2012
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