L'imputato aveva eccepito a sua discolpa la mancanza di interesse all'alterazione del certificato essendo questi effettivamente ammalato, come accertato dalla competente commissione medica che lo aveva dichiarato permanentemente non idoneo al servizio.
Di contro, già nei primi gradi del processo, il medico, autore del certificato, aveva dichiarato di non aver effettuato lui la correzione comportante prolungamento della malattia e che vi era un preciso interesse del prevenuto a tale prolungamento.
Egli aveva infatti l'esigenza di giustificare, senza soluzione di continuità, la propria assenza dal lavoro e tale obiettivo aveva tentato di conseguire mediante l'invio del certificato alterato che consentiva di coprire il mancato rientro in servizio per otto giorni, anziché per i soli tre indicati nella versione originale del documento.
Non essendo il lavoratore abilitato a certificare la malattia, vi era stata alterazione del documento (art. 477 e 482 c.p.), anche se l'imputato era effettivamente malato, atteggiamento penalmente rilevante e punito dal nostro ordinamento.
La Cassazione, per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso dell' assistente di polizia penitenziaria.