La Suprema Corte ha precisato che "nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità; a tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all'entità ed all'esposizione del lavoratore ai fattori di rischio ed anche considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall'assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia".
La sentenza impugnata - evidenziano i giudici di legittimità - ha fatto applicazione di tali principi, ravvisando, in base alle considerazioni diffusamente esposte nello storico di lite, la sussistenza del requisito di elevata probabilità che integra il nesso causale. Nel caso all'esame - prosegue la Corte - l'Istituto ricorrente, nel contestare la ritenuta assimilabilità, sul piano eziopatogenetico, del neurinoma del nervo acustico e di quello del trigemino, non specifica - rifugiandosi nel concetto di "nozione comune" - le fonti scientifiche, ritualmente dedotte ed acquisite al giudizio, in base alle quali avrebbero dovuto ritenersi scientificamente errate le affermazioni rese al riguardo dal CTU e seguite dalla sentenza impugnata, finendo per richiedere al riguardo una valutazione di merito inammissibile in sede di legittimità. Inoltre, e significativamente, "la sentenza impugnata, seguendo le osservazioni del CTU, ha ritenuto di dover ritenere di particolare rilievo quegli studi che avevano preso in considerazione anche altri elementi, quali l'età dell'esposizione, l'ipsilateralità e il tempo di esposizione, atteso che, nella specie, doveva valutarsi la sussistenza del nesso causale in relazione ad una situazione fattuale dei tutto particolare, caratterizzata da un'esposizione alle radiofrequenze per un lasso temporale continuativo molto lungo (circa 12 anni), per una media giornaliera di 5 - 6 ore e concentrata principalmente sull'orecchio sinistro dell'assicurato (che, com'è di piana evidenza, concretizza una situazione affatto diversa da un normale uso non professionale del telefono cellulare).".Cassazione: l'Inail deve riconoscere rendita a chi contrae un tumore per uso lavorativo del cellulare
L.S. | 17 ott 2012
La Corte di cassazione, con sentenza n. 17438 del 12 ottobre 2012, ha rigettato il ricorso proposto dall'Inail avverso la sentenza della Corte d'Appello che, in riforma della pronuncia di prime cure, aveva condannato l'Istituto a corrispondere ad un lavoratore la rendita per malattia professionale prevista per l'invalidità all'80% avendo il dipendente dedotto che, in conseguenza dell'uso lavorativo protratto, per dodici anni e per 5-6 ore al giorno, di telefoni cordless e cellulari all'orecchio sinistro aveva contratto una grave patologia tumorale. Le prove acquisite e le indagini medico legali avevano permesso di accertare, nel corso del giudizio, la sussistenza dei presupposti fattuali dedotti, in ordine sia all'uso nei termini indicati dei telefoni nel corso dell'attività lavorativa, sia all'effettiva insorgenza di un "neurinoma del Ganglio di Gasser" (tumore che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico e, più raramente, come nel caso di specie, il nervo cranico trigemino), con esiti assolutamente severi nonostante le terapie, anche di natura chirurgica, praticate; sulla ricorrenza di tali elementi fattuali, come evidenziato nella sentenza impugnata, non erano state svolte contestazioni in sede di appello, incentrandosi la questione devoluta al Giudice del gravame sul nesso causale tra l'uso dei telefoni e l'insorgenza della patologia.
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