Un paio di episodi, direi decisamente tristi, mi fanno riflettere su come gli uomini troppo spesso vivano in totale e completa arroganza. Arroganza che li porta a credersi esseri assolutamente insostituibili e nettamente superiori a tutto ciò che c'è di diverso da noi, ma comunque vivente e che prova sentimenti o sensazioni molto simili ai nostri. In questa cerchia di sfortunati, rientrano gli animali, così come tutte quelle persone marchiate come diverse (ma questa è un'altra storia).
Arrogarsi il dominio di chi è più debole, spesso anche brutalmente e cinicamente, non ha mai portato a grandi cose. Eppure la storia e le sue lezioni si dimenticano in fretta, soprattutto adesso che tutto "viaggia" su internet.
Detto ciò, come premessa generale, mi addentrerei nel labile, anzi labilissimo, rapporto tra uomini e animali. Dove il rispetto per i secondi è un concetto ancora molto lontano dagli standard minimi di ammissibilità. Spesso invece troppo prossimi alla vergogna.
Parto da un episodio di cronaca, triste, non solo nera. Pochi giorni fa, a Soveria Mannelli in provincia di Catanzaro, un cercatore di funghi, il (fu) signor Vincenzo Pulicicchio, è stato freddato dalla follia di un cacciatore di cinghiali. Ucciso perché il killer pensava potesse trattarsi di un bel bestione da impallinare; peccato fosse invece un uomo pronto a trasformarsi nella nona vittima (più 28 feriti) della caccia, da che la stagione ha riaperto. Poche settimane per questo stillicidio. Spiace aggiungere, legalizzato. E doppiamente spiace aggiungere, che rappresenta un'ottima rendita per lo Stato.
L'Associazione Vittime della Caccia, con in testa l'agguerrita (e qui ci vuole tostaggine, è inutile negarlo) Daniela Casprini, ha giustamente definito l'episodio come una "vergogna nazionale" in un "paese ostaggio di una lobby", molto ben armata purtroppo. Peccato che la vergogna spetti solo a chi ha sensibilità nei confronti degli animali, mentre le lobby si sa come si comportano in Italia, nulla le altera nulla le annienta. Rassegnarsi? Mai e ancora mai.
Per carità, ringraziamo l'esistenza di una normativa sull'attività in questione, una legge venatoria, la n.157/1992 ("Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"), che se non altro ha imposto alcuni concetti forse ignorati sino ad allora dai più, o meglio dai cacciatori.
Punto primo. Che innanzitutto non si può sparare a tutto ciò che svolazza o corre o si rintana. "La fauna è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutela nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale". Perciò ciascun cittadino è sì proprietario della fauna, ma non ne può disporre a suo piacimento. Ne saranno a conoscenza i bracconieri della domenica?
Punto secondo. Che alcune specie non vanno toccate.
Punto terzo. Che ciascuna regione deve preservare almeno una quota compresa tra il 20 e 30% del territorio agro-silvo-pastorale dalla caccia; percentuale che crolla a un intervallo compreso tra 10 e 20% nelle aree alpine.
Ecco, la destinazione di una fetta (dalla percentuale variabile! Gasp e stragasp) del territorio agro-silvo-alimentare ad area no-caccia, mi crea qualche perplessità, lo ammetto. E secondo voi un povero cinghialotto può essere in qualche modo a conoscenza di questa zona off-limits, che potrebbe salvargli la pellaccia? Ma allo Stato penso freghi men che meno. Quante volte vengono emanati decreti per cui noi cittadini potremmo godere di qualche beneficio economico, e non ne veniamo a conoscenza se non dopo un paio di quinquenni? Oddio, forse molto poche volte, visto che la norma è più quella della bastonata che non quella della carota qui da noi. Però intanto rende l'idea di come si possano sentire queste povere bestie.
Purtroppo tutto ciò è stato deciso da uomini, lontani discendenti di cacciatori di prima classe, quelli che lo facevano per la sopravvivenza, mica per sport. "Che se sei ciccione vai a farti qualche ora di tapis-roulant, mica a sparare a un leprotto di qualche etto", come direbbe mia zia.
Quasi un decennio successivo a questa legge la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 cambiò l'articolo 117 della Costituzione italiana stessa, stabilendo così che la potestà legislativa in materia di caccia fosse delle regioni, non essendoci indicazione diversa. Un tentativo di tagliar fuori lo Stato dal business venatorio? Tentativo mal riuscito perché lo Stato essendosi riservato la potestà legislativa in materia di tutela ambientale, dell'ecosistema e dei beni culturali è riuscito a limitare lo stra-potere delle regioni. Che visti i risultati recenti sono stati uno spreco di energie (loro, anche se molto poche) e soldi (nostri, e invece molti), da film horror più che di supereroi.
Però consoliamoci col venire a conoscenza di un paio di chicche non da poco. Ciascun cacciatore deve prestare 2/3 giorni per il recupero ambientale. Vale a dire: ti lasciamo ammazzare ma poi devi espiare, con il servizio civile. Geniale, ohibò. Me li immagino tutti questi omoni stivalati e gibernati che raccolgono cartine delle caramelle e lattine lasciate in un bosco, e magari tanto che ci sono provvedono a riporre con cura nel suo nido un uccellino caduto.
Oppure che esiste una caccia di selezione, che però non seleziona la specie (fortunatamente) ma seleziona solo la vittima (sfortunatamente) e una con rapace (pensavo fosse il vezzo di qualche eccentrico). Ma soprattutto che lo Stato deve disporre di fondi per i danni arrecati ai campi dalla caccia. E non voglio sapere da dove questi fondi arrivino.
Un altro punto però a favore dello Stato concediamoglielo, per aver "cassato" (proprio in Cassazione) il tentativo di qualche regione outsider ed indipendentista (l'Abruzzo, ndr) di prendersi troppe libertà in materia venatoria ().barbaralgsordi@gmail.it