"In linea generale è da ritenere legittima la costituzione di parte civile nel processo penale, di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato come il figlio della moglie di quest'ultimo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di "affectio familiaris" può comportare l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'art. 2 Cost. sub specie di intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex art.2059 cod. civ. mentre è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali.".
Sulla base di questo principio di diritto la Corte di cassazione, con sentenza n. 43434 dell'8 novembre 2012, ha confermato la decisone dei giudici di merito che, ritenendo responsabili l'amministratore unico e il responsabile di cantiere di una società per omicidio colposo per l'infortunio mortale occorso ad un lavoratore extracomunitario, riconosceva il risarcimento danni in favore sia della madre del lavoratore che di coloro che la vittima aveva ospitato in Italia e con cui conviveva stabilmente.
La Suprema Corte ha altresì precisato che in linea specifica la giurisprudenza ha affermato "la risarcibilità del danno subito da persona convivente derivatogli (quale vittima secondaria) dalla lesione materiale cagionata alla persona con la quale convive dalla condotta illecita del terzo e ha collegato tale danno alla provata turbativa dell'equilibrio affettivo e patrimoniale instaurato mediante una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale.".
La sentenza d'appello - affermano i giudici di legittimità - accertato il rapporto di convivenza con il lavoratore in attualità di guadagno, ha correttamente applicato i principi più sopra riassunti nel loro profilo patrimoniale e affettivo, e ha ben ritenuto che i conviventi fossero legittimati a costituirsi parte civile contro i responsabili della morte del lavoratore partecipe di quel consorzio familiare.
Sulla base di questo principio di diritto la Corte di cassazione, con sentenza n. 43434 dell'8 novembre 2012, ha confermato la decisone dei giudici di merito che, ritenendo responsabili l'amministratore unico e il responsabile di cantiere di una società per omicidio colposo per l'infortunio mortale occorso ad un lavoratore extracomunitario, riconosceva il risarcimento danni in favore sia della madre del lavoratore che di coloro che la vittima aveva ospitato in Italia e con cui conviveva stabilmente.
La Suprema Corte ha altresì precisato che in linea specifica la giurisprudenza ha affermato "la risarcibilità del danno subito da persona convivente derivatogli (quale vittima secondaria) dalla lesione materiale cagionata alla persona con la quale convive dalla condotta illecita del terzo e ha collegato tale danno alla provata turbativa dell'equilibrio affettivo e patrimoniale instaurato mediante una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale.".
La sentenza d'appello - affermano i giudici di legittimità - accertato il rapporto di convivenza con il lavoratore in attualità di guadagno, ha correttamente applicato i principi più sopra riassunti nel loro profilo patrimoniale e affettivo, e ha ben ritenuto che i conviventi fossero legittimati a costituirsi parte civile contro i responsabili della morte del lavoratore partecipe di quel consorzio familiare.
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