Nello specifico la Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale rilevava che difettava la prova della falsità della scritturazione aziendale in quanto sussistevano in tal senso le sole dichiarazioni del lavoratore e che le stesse dichiarazioni successivamente erano state smentite, afferma l'infondatezza del motivo formulato dalla ricorrente in merito alla insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio non essendo state chiarite le ragioni per le quali si erano privilegiate non le dichiarazioni rese dal teste ai verbalizzanti ma quelle successive certamente "aggiustate" a distanza di tempo.
La sentenza impugnata - spiegano i giudici di legittimità - "spiega in modo logico e persuasivo perché le sole dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti dal teste, ancora scosso emotivamente per la visita ispettiva, siano state ritenute insufficienti a provare la pretesa avanzata nei confronti dell'intimato: la sentenza non privilegia le seconde dichiarazioni ma ritiene che le prime siano insufficienti a provare la fondatezza della sanzione irrogata. La motivazione appare congrua, mentre le censure appaiono di merito, tendenti ad una rivalutazione del fatto, inammissibile in questa sede.".
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