Con la sentenza 19265 del 7 novembre 2012, la Corte di Cassazione ha affermato che il sanitario che non ha effettuato l'intervento chirurgico concordato con il paziente è tenuto alla restituzione del compenso previamente da lui percepito.
La sesta sezione civile, in linea con il tribunale di Mondovì, ha confermato la condanna di tre chirurghi alla restituzione della somma anticipata dalla paziente per un intervento mai effettuato, per via del recesso voluto della stessa.
Piazza Cavour, ricordando che l'art. 1988 Cc esonera il destinatario della promessa di pagamento soltanto dall'onere di provare il rapporto fondamentale, ha osservato che, nella fattispecie, la dichiarazione resa dalla paziente in calce alla cartella clinica era riferita all'accettazione del pagamento degli onorari "dovuti": ciò significa che non è stato messo in discussione il rapporto fondamentale, ma la determinazione di quanto effettivamente "dovuto" in forza del recesso ex art. 2237 Cc.
Mentre per quanto riguarda la determinazione dei compensi ai sanitari e sull'onere della prova su di questi gravante in punto di dimostrazione dell'«opera svolta» ovvero di stipulazione di un accordo transattivo importa la valutazione di infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, per la parte in cui denuncia il vizio di cui all'art. 360 n. 5 Cpc.
«La norma - spiegano gli Ermellini - presuppone che il compenso sia, comunque, dovuto, a fronte di una prestazione d'opera effettuata, in tutto o in parte», ma, nel caso in particolare, nessun compenso invece era dovuto ai sanitari: mancava l'opera svolta da retribuire e, dunque, le somme percepite ritenute indebite.
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La sesta sezione civile, in linea con il tribunale di Mondovì, ha confermato la condanna di tre chirurghi alla restituzione della somma anticipata dalla paziente per un intervento mai effettuato, per via del recesso voluto della stessa.
Piazza Cavour, ricordando che l'art. 1988 Cc esonera il destinatario della promessa di pagamento soltanto dall'onere di provare il rapporto fondamentale, ha osservato che, nella fattispecie, la dichiarazione resa dalla paziente in calce alla cartella clinica era riferita all'accettazione del pagamento degli onorari "dovuti": ciò significa che non è stato messo in discussione il rapporto fondamentale, ma la determinazione di quanto effettivamente "dovuto" in forza del recesso ex art. 2237 Cc.
Mentre per quanto riguarda la determinazione dei compensi ai sanitari e sull'onere della prova su di questi gravante in punto di dimostrazione dell'«opera svolta» ovvero di stipulazione di un accordo transattivo importa la valutazione di infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, per la parte in cui denuncia il vizio di cui all'art. 360 n. 5 Cpc.
«La norma - spiegano gli Ermellini - presuppone che il compenso sia, comunque, dovuto, a fronte di una prestazione d'opera effettuata, in tutto o in parte», ma, nel caso in particolare, nessun compenso invece era dovuto ai sanitari: mancava l'opera svolta da retribuire e, dunque, le somme percepite ritenute indebite.
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