Lo scopo principale di un procedimento giudiziario, sia esso civile, sia esso penale, dovrebbe essere quello di assicurare giustizia e ripristinare l'ordine violato. Purtroppo però il nostro sistema giudiziario, nei suoi aspetti più strettamente processuali è diventato così ridondante di 'regole formali' da aver messo in secondo piano la 'giustizia sostanziale'.
La violazione della forma spesso può avere conseguenze sproporzionate rispetto alla violazione di una norma procedimentale che, sia ben chiaro, va si sanzionata ma non certo a discapito dell'esito finale del giudizio.
L'attuale struttura del sistema processuale, caratterizzata da un insieme di rigidi formalismi che spesso non prevedono alcuna possibilità di emendare un errore anche banale, comporta che sempre più spesso che l'esito finale del giudizio sia condizionato da problematiche processuali e che le pronunce "di rito" impediscano di pervenire a "sentenze di merito" o, peggio ancora, che una decadenza (ad esempio da aun mezzo istruttorio) comporti una sentenza di merito distante dalla realtà dei fatti posto alla parte è stato impedito di dimostrare gli elementi di fatto che pone a sostegno della sua domanda.
Non voglio certo dire che le regole di forma non debbano esistere. Anzi senza queste regole sarebbe impossibile celebrare un processo. E' vero anche che una sanzione per l'inosservanza di norme processuali deve pur esister: se non rispetto un termine per depositare una richiesta istruttoria indubbiamente creo dei problemi all'iter giudiziario ed è giusto per questo che sia irrogata una sanzione. Ma ciò che dobbiamo chiederci è se può considerarsi giusto che la conseguenza di un banale ritardo, o di una semplice distrazione, possa comportare conseguenze così gravi come anche un diverso risultato del giudizio di merito.
Non sarebbe più equo irrogare una sanzione proporzionata all'entità della violazione della norma processuale? Perchè mai dovremmo accettare una decisione di merito ingiusta solo per un via di errore processuale? Forse potrebbe bastare una sanzione pecuniaria affiancata naturalmente a ogni altra disposizione necessaria per consentire alle parti di rimediare all'errore e per ripristinare (ove ce ne sia bisogno) la regolarità del contraddittorio.
Gli aspetti procedurali nella mente del legislatore hanno lo scopo di ordinare le sequenze del processo al fine di limitare i tempi del giudizio e di assoggettare le parti alle stesse cadenze temporali. Un'illusione senza dubbio. Non sono certo le parti la causa dei ritardi della giustizia e paradossalmente è stato proprio il formalismo a creare un procedimento farraginoso e complesso che rende molto meno snello l'iter di un processo.
Insomma un eccesso nell'applicazione di tale principio ha portato non solo ad allungare i tempi della giustizia ma anche a rendela meno 'giusta'. Nello scandire i tempi in modo così rigido spesso si giunge ad effetti sproporzionati rispetto all'esigenza concreta di tutelare chi nella diatriba processuale ha diritto ad essere tutelata.
Solo per fare un esempio possiamo far riferimento ad alcune norme del codice di procedura civile. Gli articoli 152 e 153 si occupano dei termini e stabiliscono che nella maggior parte dei casi i termini previsti sono ordinatori e quindi c'è sempre un rimedio nel caso in cui non siano rispettati, ma in alcuni casi espressamente previsti per legge, gli stessi sono perentori e quindi il non rispetto porta ad una decadenza. In base all'articolo 153 "I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti". Viene quindi addirittura esclusa la volontà concorde di tutte le parti di arrivare ad un giudizio nel merito a prescindere dalla perentorietà di un termine e ciò significa negare l'accesso alla giustizia che invece è costituzionalmente tutelato.
Per quanto riguarda invece le sentenze che entrano nel merito della vicenda ma non assicurano comunque giustizia sostanziale, si può far riferimento alle norme sulle prove. Anche in questo caso come appunto indica l'articolo 184 CPC i termini sono perentori, inoltre in secondo grado quasi impossibile riuscire ad ottenere l'ammissione di nuovi mezzi di prova. Di fatti in caso di impugnazione della sentenza di primo grado, nel giudizio di appello non possono essere portati nuovi mezzi di prova se non nel caso in cui questi erano sconosciuti per cause non riferibili alla parte a cui favore le prove stesse sono dirette.
Queste disposizioni nel loro insieme possono portare a risultati abnormi ovvero possono portare ad una pronuncia giudiziale che dal punto di vista formale è perfetta, ma dal punto di vista sostanziale può dare torto a chi in realtà ha ragione per la sola colpa di non aver rispettato la forma.
Piuttosto che sottrarre al giudice la possibilità di disporre di tutte le prove necessarie per decidere correttamente il caso non sarebbe più semplice sanzionare (magari economicamente) chi è "colpevole" dell'errore procedurale senza interferire con il risultato finale del giudizio?
Deve anche essere sottolineato che le parti non stanno in giudizio da sole ed è più che naturale che non conoscano neanche tutte queste sfumature del diritto, di conseguenza gli errori procedurali sono ascrivibili spesso ai difensori, ma nel caso concreto gli stessi vanno a ricadere nella sfera giuridica del rappresentato e non dell'avvocato.
La abnormità del risultato è anche un'altra ovvero, colui che soccombe anche se solo per ragioni formali, è solitamente condannato alle spese processuali e questo è un ulteriore danno che va ad incidere sul patrimonio del soccombente.
a fronte di tutti questi formalismi rappresentano la punta dell'iceberg di un sistema processuale spesso eccessivamente farraginoso, la domada da porsi è un'altra. Dal punto di vista etico è giusto che un Paese per ragioni formali, di rito, possa abdicare alla sua funzione di tutela giudiziaria? E? normale che un gran numero di sentenza si occupi di tutto fuorchè delle ragioni sostanziali di una domanda?
Forse c'è bisogno di un nuovo sistema più a "dimensione d'uomo". Un sistema in grado assicurare giustizia attraverso strumenti flessibili e soprattutto capaci di risolvere i problemi della gente e non di complicarli come accade oggi.
La violazione della forma spesso può avere conseguenze sproporzionate rispetto alla violazione di una norma procedimentale che, sia ben chiaro, va si sanzionata ma non certo a discapito dell'esito finale del giudizio.
L'attuale struttura del sistema processuale, caratterizzata da un insieme di rigidi formalismi che spesso non prevedono alcuna possibilità di emendare un errore anche banale, comporta che sempre più spesso che l'esito finale del giudizio sia condizionato da problematiche processuali e che le pronunce "di rito" impediscano di pervenire a "sentenze di merito" o, peggio ancora, che una decadenza (ad esempio da aun mezzo istruttorio) comporti una sentenza di merito distante dalla realtà dei fatti posto alla parte è stato impedito di dimostrare gli elementi di fatto che pone a sostegno della sua domanda.
Non voglio certo dire che le regole di forma non debbano esistere. Anzi senza queste regole sarebbe impossibile celebrare un processo. E' vero anche che una sanzione per l'inosservanza di norme processuali deve pur esister: se non rispetto un termine per depositare una richiesta istruttoria indubbiamente creo dei problemi all'iter giudiziario ed è giusto per questo che sia irrogata una sanzione. Ma ciò che dobbiamo chiederci è se può considerarsi giusto che la conseguenza di un banale ritardo, o di una semplice distrazione, possa comportare conseguenze così gravi come anche un diverso risultato del giudizio di merito.
Non sarebbe più equo irrogare una sanzione proporzionata all'entità della violazione della norma processuale? Perchè mai dovremmo accettare una decisione di merito ingiusta solo per un via di errore processuale? Forse potrebbe bastare una sanzione pecuniaria affiancata naturalmente a ogni altra disposizione necessaria per consentire alle parti di rimediare all'errore e per ripristinare (ove ce ne sia bisogno) la regolarità del contraddittorio.
Gli aspetti procedurali nella mente del legislatore hanno lo scopo di ordinare le sequenze del processo al fine di limitare i tempi del giudizio e di assoggettare le parti alle stesse cadenze temporali. Un'illusione senza dubbio. Non sono certo le parti la causa dei ritardi della giustizia e paradossalmente è stato proprio il formalismo a creare un procedimento farraginoso e complesso che rende molto meno snello l'iter di un processo.
Insomma un eccesso nell'applicazione di tale principio ha portato non solo ad allungare i tempi della giustizia ma anche a rendela meno 'giusta'. Nello scandire i tempi in modo così rigido spesso si giunge ad effetti sproporzionati rispetto all'esigenza concreta di tutelare chi nella diatriba processuale ha diritto ad essere tutelata.
Solo per fare un esempio possiamo far riferimento ad alcune norme del codice di procedura civile. Gli articoli 152 e 153 si occupano dei termini e stabiliscono che nella maggior parte dei casi i termini previsti sono ordinatori e quindi c'è sempre un rimedio nel caso in cui non siano rispettati, ma in alcuni casi espressamente previsti per legge, gli stessi sono perentori e quindi il non rispetto porta ad una decadenza. In base all'articolo 153 "I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti". Viene quindi addirittura esclusa la volontà concorde di tutte le parti di arrivare ad un giudizio nel merito a prescindere dalla perentorietà di un termine e ciò significa negare l'accesso alla giustizia che invece è costituzionalmente tutelato.
Per quanto riguarda invece le sentenze che entrano nel merito della vicenda ma non assicurano comunque giustizia sostanziale, si può far riferimento alle norme sulle prove. Anche in questo caso come appunto indica l'articolo 184 CPC i termini sono perentori, inoltre in secondo grado quasi impossibile riuscire ad ottenere l'ammissione di nuovi mezzi di prova. Di fatti in caso di impugnazione della sentenza di primo grado, nel giudizio di appello non possono essere portati nuovi mezzi di prova se non nel caso in cui questi erano sconosciuti per cause non riferibili alla parte a cui favore le prove stesse sono dirette.
Queste disposizioni nel loro insieme possono portare a risultati abnormi ovvero possono portare ad una pronuncia giudiziale che dal punto di vista formale è perfetta, ma dal punto di vista sostanziale può dare torto a chi in realtà ha ragione per la sola colpa di non aver rispettato la forma.
Piuttosto che sottrarre al giudice la possibilità di disporre di tutte le prove necessarie per decidere correttamente il caso non sarebbe più semplice sanzionare (magari economicamente) chi è "colpevole" dell'errore procedurale senza interferire con il risultato finale del giudizio?
Deve anche essere sottolineato che le parti non stanno in giudizio da sole ed è più che naturale che non conoscano neanche tutte queste sfumature del diritto, di conseguenza gli errori procedurali sono ascrivibili spesso ai difensori, ma nel caso concreto gli stessi vanno a ricadere nella sfera giuridica del rappresentato e non dell'avvocato.
La abnormità del risultato è anche un'altra ovvero, colui che soccombe anche se solo per ragioni formali, è solitamente condannato alle spese processuali e questo è un ulteriore danno che va ad incidere sul patrimonio del soccombente.
a fronte di tutti questi formalismi rappresentano la punta dell'iceberg di un sistema processuale spesso eccessivamente farraginoso, la domada da porsi è un'altra. Dal punto di vista etico è giusto che un Paese per ragioni formali, di rito, possa abdicare alla sua funzione di tutela giudiziaria? E? normale che un gran numero di sentenza si occupi di tutto fuorchè delle ragioni sostanziali di una domanda?
Forse c'è bisogno di un nuovo sistema più a "dimensione d'uomo". Un sistema in grado assicurare giustizia attraverso strumenti flessibili e soprattutto capaci di risolvere i problemi della gente e non di complicarli come accade oggi.
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: