La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21940 del 6 dicembre 2012, ha rigettato il ricorso di una società avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello, confermando la decisione del Tribunale, aveva dichiarato l'illegittimità del provvedimento espulsivo nei confronti di un dipendente tratto in arresto per i reati di cui all'art. 73, commi 1 e 4 del D.P.R. 309/90 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) cui veniva applicata la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
La società sospendeva il lavoratore cautelativamente dal servizio e, conclusosi il procedimento penale con il patteggiamento, lo licenziava, a seguito di contestazione disciplinare, avendo ritenuto che il reato per il quale era stato condannato, pur non essendo strettamente correlato al tipo di servizio svolto per l'azienda (portalettere), riverberava, comunque, i suoi effetti negativi sia nell'ambito lavorativo che sull'immagine della società che svolgeva un servizio di pubblica rilevanza.
Afferma la Suprema Corte che correttamente la Corte di merito ha motivato che il reato inizialmente ascritto al lavoratore era stato derubricato da detenzione e spaccio di sostanza stupefacente a semplice detenzione per uso personale di infiorescenza di marijuana con esclusione dell'ipotesi di spaccio e che, cosi inquadrata la fattispecie criminosa, la stessa atteneva solo ad una situazione privata extralavorativa del dipendente e non era di gravità tale da incidere sull'elemento fiduciario.
I giudici di legittimità in merito poi alla doglianza della società ricorrente relativa al fatto che la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi sulla rilevanza del comportamento del dipendente che, pur se in stato di arresto, non si sarebbe adoperato per far avvisare il proprio datore di lavoro, benché non potesse non immaginare che la vicenda sarebbe apparsa sui quotidiani, creando notevole imbarazzo in una zona piccola quale quella in cui egli operava, precisano che "la condotta omissiva in questione non risulta essere stata oggetto di contestazione disciplinare e, dunque, correttamente la Corte di merito non la ha valutata limitando il proprio esame alla questione decisiva ovvero quella relativa al rilievo che si possono assumere fatti costituenti reato, commessi dal dipendente non in connessione con l'attività lavorativa svolta, ai fini della lesione del vincolo fiduciario.".
La società sospendeva il lavoratore cautelativamente dal servizio e, conclusosi il procedimento penale con il patteggiamento, lo licenziava, a seguito di contestazione disciplinare, avendo ritenuto che il reato per il quale era stato condannato, pur non essendo strettamente correlato al tipo di servizio svolto per l'azienda (portalettere), riverberava, comunque, i suoi effetti negativi sia nell'ambito lavorativo che sull'immagine della società che svolgeva un servizio di pubblica rilevanza.
Afferma la Suprema Corte che correttamente la Corte di merito ha motivato che il reato inizialmente ascritto al lavoratore era stato derubricato da detenzione e spaccio di sostanza stupefacente a semplice detenzione per uso personale di infiorescenza di marijuana con esclusione dell'ipotesi di spaccio e che, cosi inquadrata la fattispecie criminosa, la stessa atteneva solo ad una situazione privata extralavorativa del dipendente e non era di gravità tale da incidere sull'elemento fiduciario.
I giudici di legittimità in merito poi alla doglianza della società ricorrente relativa al fatto che la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi sulla rilevanza del comportamento del dipendente che, pur se in stato di arresto, non si sarebbe adoperato per far avvisare il proprio datore di lavoro, benché non potesse non immaginare che la vicenda sarebbe apparsa sui quotidiani, creando notevole imbarazzo in una zona piccola quale quella in cui egli operava, precisano che "la condotta omissiva in questione non risulta essere stata oggetto di contestazione disciplinare e, dunque, correttamente la Corte di merito non la ha valutata limitando il proprio esame alla questione decisiva ovvero quella relativa al rilievo che si possono assumere fatti costituenti reato, commessi dal dipendente non in connessione con l'attività lavorativa svolta, ai fini della lesione del vincolo fiduciario.".
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