Il "principio di affidamento" non scagiona il capo di un'equipe medica che, secondo la Cassazione, non può scaricare la colpa di errori avvenuti in corsia sui propri colleghi. E' quanto emerge da una sentenza della Quarta sezione penale della Corte (la n. 48226/2012) che ha convalidando una condanna per lesioni colpose nei confronti di un medico specialista in ginecologia che nel corso di un intervento aveva erroneamente asportato a una paziente l'ovaio sinistro invece che l'ovaio destro.
Il chirurgo, capo dell'equipe, si era difeso spiegando che l'errore era stato determinato dai medici che si erano in precedenza occupati del caso (anch'essi peraltro condannati) e che lui si era basato sull'annotazione cartacea proveniente da altro medico.
Secondo i giudici di Piazza Cavour però, il medico non può invocare il "principio di affidamento" a propria discolpa se "in spregio alla regola minima di prudenza e diligenza" ha "proceduto all'asportazione chirurgica sulla base di una mera annotazione cartacea, pur proveniente dal medico addetto all'accettazione, senza fare luogo all'agevole, rapido e sicuro riscontro ecografico".
Il medico nella sua difesa aveva fatto leva anche sulla c.d. "medicina dell'evidenza". In sostanza, durante l'intervento, avvenuto in laparoscopia, attraverso la visione sul monitor degli organi interni avrebbe teoricamente potuto rimediare ad eventuali errori diagnostici ma nel caso di specie per una "incredibile fatalità", l'ovaio destro malato si era, medio tempore, normalizzato apparendo sano mentre quello di sinistra si presentava notevolmente aumentato di volume.
In merito però la Corte ha spiegato che "la visione endoscopica, in casi del genere, non risulta risolutiva, poiché non in grado di evidenziare quale fosse l'ovaio malato da estirpare". Più in generale, la Suprema Corte spiega che "deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell'intervento, il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all'operazione senza avere prima proceduto al riscontro della stessa".
Vai alla motivazione della sentenza 8226/2012
Il chirurgo, capo dell'equipe, si era difeso spiegando che l'errore era stato determinato dai medici che si erano in precedenza occupati del caso (anch'essi peraltro condannati) e che lui si era basato sull'annotazione cartacea proveniente da altro medico.
Secondo i giudici di Piazza Cavour però, il medico non può invocare il "principio di affidamento" a propria discolpa se "in spregio alla regola minima di prudenza e diligenza" ha "proceduto all'asportazione chirurgica sulla base di una mera annotazione cartacea, pur proveniente dal medico addetto all'accettazione, senza fare luogo all'agevole, rapido e sicuro riscontro ecografico".
Il medico nella sua difesa aveva fatto leva anche sulla c.d. "medicina dell'evidenza". In sostanza, durante l'intervento, avvenuto in laparoscopia, attraverso la visione sul monitor degli organi interni avrebbe teoricamente potuto rimediare ad eventuali errori diagnostici ma nel caso di specie per una "incredibile fatalità", l'ovaio destro malato si era, medio tempore, normalizzato apparendo sano mentre quello di sinistra si presentava notevolmente aumentato di volume.
In merito però la Corte ha spiegato che "la visione endoscopica, in casi del genere, non risulta risolutiva, poiché non in grado di evidenziare quale fosse l'ovaio malato da estirpare". Più in generale, la Suprema Corte spiega che "deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell'intervento, il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all'operazione senza avere prima proceduto al riscontro della stessa".
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