Con sentenza 23199 del 17 dicembre 2012, la Corte di cassazione ha ricordato che in regime di comunione legale, un coniuge non può vendere casa senza il consenso dell'altro neppure se il ricavato viene investito in un nuovo immobile. Se lo fa è tenuto a versare alla moglie la metà dell'incasso e rischia anche di dover risarcire il danno non patrimoniale.
Così la seconda sezione civile della Corte ha accolto il ricorso di una ex moglie contro la decisione della Corte d'appello di Roma che ha non le aveva riconosciuto il diritto ad ottenere dall'ex marito il pagamento della metà del valore dell'appartamento venduto da lui senza il suo consenso.
Per i giudici del Palazzaccio la condotta del marito è da ritenersi illegittima visto che l'uomo ha provveduto alla vendita di un bene comune all'altra parte senza il dovuto consenso e anzi occultando con false dichiarazione lo stato di comunione del cespite: al riguardo si legge in sentenza «l'acquisto dell'appartamento costituiva, in particolare, un dato irrilevante ai fini del decidere perché esso era intrinsecamente estraneo al fatto illecito ascritto al convenuto, che si era interamente consumato, anche nei suoi effetti pregiudizievoli, con la vendita dei beni.
Così la seconda sezione civile della Corte ha accolto il ricorso di una ex moglie contro la decisione della Corte d'appello di Roma che ha non le aveva riconosciuto il diritto ad ottenere dall'ex marito il pagamento della metà del valore dell'appartamento venduto da lui senza il suo consenso.
Per i giudici del Palazzaccio la condotta del marito è da ritenersi illegittima visto che l'uomo ha provveduto alla vendita di un bene comune all'altra parte senza il dovuto consenso e anzi occultando con false dichiarazione lo stato di comunione del cespite: al riguardo si legge in sentenza «l'acquisto dell'appartamento costituiva, in particolare, un dato irrilevante ai fini del decidere perché esso era intrinsecamente estraneo al fatto illecito ascritto al convenuto, che si era interamente consumato, anche nei suoi effetti pregiudizievoli, con la vendita dei beni.
Né tale dato poteva assumere rilevanza sotto il profilo che il nuovo appartamento sarebbe stato acquistato con il prezzo ricavato dalla vendita del bene comune, per avere, in sostanza, il convenuto compiuto non una sottrazione del bene, ma, attraverso il rivestimento del prezzo di vendita, una mera sostituzione dei beni cadenti in comunione». Ora, la parola ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.
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