"In forza del generale principio del ne bis in idem, comune a tutti i rami del diritto, il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere, ormai consumato."
Sulla fase di tale principio la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, dichiarava illegittimo il secondo licenziamento (anche il primo era stato dichiarato illegittimo per violazione del principio della immediatezza della contestazione), osservando che i fatti sui quali si basava erano sostanzialmente gli stessi posti alla base del primo recesso.
Nel caso di specie, il lavoratore, a seguito di una prima contestazione disciplinare per utilizzo arbitrario di due carte di credito intestate a due clienti della Banca presso cui prestava servizio, accesso sui conti correnti degli stessi e prelievo ad uso personale da tali conti correnti di somme di denaro, veniva sospeso e successivamente licenziato. Il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi, dichiaravano illegittimo il licenziamento ordinando la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro. La Banca con la stessa lettera di reintegra contestava al lavoratore altro illecito disciplinare essendo nel frattempo intervenuta, per i fatti contestati, sentenza penale di condanna per il reato di truffa in danno della Banca. A seguito di tale seconda contestazione, la Banca procedeva nuovamente a licenziare il lavoratore ma anche in questo caso il Tribunale adito e la Corte d'Appello competente dichiaravano illegittimo il licenziamento.
La Suprema Corte condivide l'assunto della Corte territoriale secondo cui "con argomentazioni immuni da vizi e coerenti sul piano logico, ha ritenuto che i due licenziamenti erano stati intimati sulla base degli stessi fatti, rilevando che ancorchè la seconda contestazione avesse trovato fondamento nella sopraggiunta condanna penale, ciò non valeva a mutare i termini della questione, atteso che i fatti oggetto di imputazione erano gli stessi di quelli menzionati nella prima lettera di contestazione".
Precisano i giudici di legittimità che vi è una totale coincidenza fra i fatti addebitati al lavoratore con la prima contestazione e quelli che hanno dato luogo alla sentenza di condanna, determinando il secondo licenziamento. La sentenza di condanna emessa nei confronti del lavoratore non può essere scissa dai fatti - già contestati al lavoratore - che hanno determinato tale condanna, onde pur trattandosi, di due addebiti formalmente diversi, essi sono riconducibili a fatti materiali totalmente coincidenti nel soggetto, nella condotta e nell'oggetto materiale.
La sentenza penale, dunque, non costituiva un elemento nuovo, suscettibile di un rilievo disciplinare autonomo e distinto rispetto al primo.
Sulla fase di tale principio la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, dichiarava illegittimo il secondo licenziamento (anche il primo era stato dichiarato illegittimo per violazione del principio della immediatezza della contestazione), osservando che i fatti sui quali si basava erano sostanzialmente gli stessi posti alla base del primo recesso.
Nel caso di specie, il lavoratore, a seguito di una prima contestazione disciplinare per utilizzo arbitrario di due carte di credito intestate a due clienti della Banca presso cui prestava servizio, accesso sui conti correnti degli stessi e prelievo ad uso personale da tali conti correnti di somme di denaro, veniva sospeso e successivamente licenziato. Il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi, dichiaravano illegittimo il licenziamento ordinando la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro. La Banca con la stessa lettera di reintegra contestava al lavoratore altro illecito disciplinare essendo nel frattempo intervenuta, per i fatti contestati, sentenza penale di condanna per il reato di truffa in danno della Banca. A seguito di tale seconda contestazione, la Banca procedeva nuovamente a licenziare il lavoratore ma anche in questo caso il Tribunale adito e la Corte d'Appello competente dichiaravano illegittimo il licenziamento.
La Suprema Corte condivide l'assunto della Corte territoriale secondo cui "con argomentazioni immuni da vizi e coerenti sul piano logico, ha ritenuto che i due licenziamenti erano stati intimati sulla base degli stessi fatti, rilevando che ancorchè la seconda contestazione avesse trovato fondamento nella sopraggiunta condanna penale, ciò non valeva a mutare i termini della questione, atteso che i fatti oggetto di imputazione erano gli stessi di quelli menzionati nella prima lettera di contestazione".
Precisano i giudici di legittimità che vi è una totale coincidenza fra i fatti addebitati al lavoratore con la prima contestazione e quelli che hanno dato luogo alla sentenza di condanna, determinando il secondo licenziamento. La sentenza di condanna emessa nei confronti del lavoratore non può essere scissa dai fatti - già contestati al lavoratore - che hanno determinato tale condanna, onde pur trattandosi, di due addebiti formalmente diversi, essi sono riconducibili a fatti materiali totalmente coincidenti nel soggetto, nella condotta e nell'oggetto materiale.
La sentenza penale, dunque, non costituiva un elemento nuovo, suscettibile di un rilievo disciplinare autonomo e distinto rispetto al primo.
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