"Il combinato disposto dall'art. 653 c.p.p. come modificato dall'art.1, L. n. 97 del 2001, e dell'art. 530 c.p.p., non preclude al datore di lavoro la possibilità di valutare in maniera autonoma rispetto all'accertamento penale, la idoneità dei fatti contestati ad integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, sulla base di elementi soggettivi ed oggettivi scaturenti dalle prove raccolte nel giudizio penale, la colpevolezza del dipendente, la incidenza dei detti fatti sul rapporto fiduciario.".
Sulla base di tali premesse la Corte di Cassazione, con sentenza n 206 dell'8 gennaio 2013, ha rigettato il ricorso di un dipendente dell'Agenzia delle Dogane licenziato per condotte che avevano costituito oggetto di procedimento penale definito con sentenza di proscioglimento "perchè il fatto non costituisce reato", al quale il provvedimento di licenziamento era stato irrogato in seguito alla riattivazione del procedimento disciplinare, sospeso in attesa degli esiti della vicenda penale.
La Suprema Corte ha affermato che "mentre l'assoluzione o il proscioglimento con la formula 'perché il fatto non sussiste' o 'perché l'imputato non lo ha commesso', presupponendo un accertamento che esclude in radice la configurabilità di ogni responsabilità del soggetto imputato in relazione al fatto ascritto, giustificano senz'altro la preclusione alla valutazione in sede disciplinare del medesimo fatto, non così è da dirsi nel caso di assoluzione o proscioglimento 'perché il fatto non costituisce illecito penale'. In tale ipotesi infatti non è esclusa la materialità del fatto né la sua riferibilità al dipendente pubblico ma solo la sua rilevanza penale.".
Non sussiste - si legge nella sentenza - alcuna qualificata ragione per sottrarre il dipendente pubblico che sia stato assolto o prosciolto con la formula richiamata, alla valutazione disciplinare del fatto diversamente risultandone pregiudicate le esigenze di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione nonché lo stesso principio di uguaglianza.
Sulla base di tali premesse la Corte di Cassazione, con sentenza n 206 dell'8 gennaio 2013, ha rigettato il ricorso di un dipendente dell'Agenzia delle Dogane licenziato per condotte che avevano costituito oggetto di procedimento penale definito con sentenza di proscioglimento "perchè il fatto non costituisce reato", al quale il provvedimento di licenziamento era stato irrogato in seguito alla riattivazione del procedimento disciplinare, sospeso in attesa degli esiti della vicenda penale.
La Suprema Corte ha affermato che "mentre l'assoluzione o il proscioglimento con la formula 'perché il fatto non sussiste' o 'perché l'imputato non lo ha commesso', presupponendo un accertamento che esclude in radice la configurabilità di ogni responsabilità del soggetto imputato in relazione al fatto ascritto, giustificano senz'altro la preclusione alla valutazione in sede disciplinare del medesimo fatto, non così è da dirsi nel caso di assoluzione o proscioglimento 'perché il fatto non costituisce illecito penale'. In tale ipotesi infatti non è esclusa la materialità del fatto né la sua riferibilità al dipendente pubblico ma solo la sua rilevanza penale.".
Non sussiste - si legge nella sentenza - alcuna qualificata ragione per sottrarre il dipendente pubblico che sia stato assolto o prosciolto con la formula richiamata, alla valutazione disciplinare del fatto diversamente risultandone pregiudicate le esigenze di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione nonché lo stesso principio di uguaglianza.
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: