"In tema di azione di regresso, la responsabilità del datore di lavoro per la mancata adozione delle misure di sicurezza è esclusa nel caso di dolo o di rischio elettivo dell'infortunato ovvero quando sono presenti nella condotta del medesimo i caratteri della abnormità e della assoluta imprevedibilità, mentre l'eventuale concorso di colpa del lavoratore, dovuta a negligenza, imprudenza o imperizia, non assume alcun valore esimente per l'imprenditore.".
Sulla base di tale principio la Corte di Cassazione, con sentenza n. 536 del 10 gennaio 2013, ha rigettato il ricorso di una società condannata, a seguito dell'infortunio sul lavoro subito da un suo dipendente, dal giudice d'Appello al pagamento a favore dell'INAIL del costo dell'infortunio indennizzato dall'Istituto.
La Corte di merito affermava che "nella specie non era emerso che il comportamento del lavoratore - il quale, nel piegare un tondino di ferro, era stato attinto ad un occhio da una scheggia - fosse stato abnorme o imprevedibile e, pur essendo stato accertato che il datore di lavoro aveva messo a disposizione del lavoratore gli occhiali protettivi, non risultava che il capo officina o altri avessero vigilato e preteso che tali occhiali venissero indossati. Tutto ciò comportava la responsabilità del datore di lavoro, considerato altresì che il lavoratore era stato assunto da poco tempo, era giovanissimo ed inesperto e, quale apprendista, avrebbe dovuto essere informato dei rischi che correva e delle cautele da adottare nell'esecuzione del lavoro in questione.".
La Suprema Corte ha precisato che "le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento".
E' altresì pacifico - si legge nella sentenza - che il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 cod. civ., si atteggia in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, esaltandosi in presenza di apprendisti nei cui confronti la legge pone precisi obblighi di formazione e addestramento, senza che in contrario possa assumere rilievo l'imprudenza dell'infortunato nell'assumere un'iniziativa di collaborazione nel cui ambito l'infortunio si sia verificato.
La Corte d'Appello - affermano i giudici di legittimità - ha fatto poi buon governo dei principi sopra richiamati, affermando che il datore di lavoro o un suo preposto non solo avrebbe dovuto mettere a disposizione dell'apprendista gli occhiali protettivi ed istruire il medesimo sull'esatto svolgimento della prestazione, ma avrebbe dovuto vigilare affinché venisse fatto effettivamente uso di tali occhiali e la prestazione venisse eseguita in conformità alle istruzioni impartitegli, tanto più che il lavoratore di giovane età ed assunto da meno di venti giorni era totalmente privo di esperienza.
Se è vero - conclude la Suprema Corte - che il giudice d'appello ha dato atto che nel luogo di lavoro vi erano gli occhiali protettivi e che essi, per disposizione del datore di lavoro, dovevano essere indossati allorché venivano eseguiti lavori che comportavano la formazione di schegge, tuttavia ha ritenuto responsabile il datore di lavoro sotto un diverso profilo, e cioè per non avere esercitato, attraverso il capo officina o altri, la dovuta vigilanza sia in ordine alla corretta esecuzione del lavoro affidato al lavoratore che all'effettivo uso da parte del medesimo delle misure protettive.
Vai al testo della Sentenza 536/2012
Sulla base di tale principio la Corte di Cassazione, con sentenza n. 536 del 10 gennaio 2013, ha rigettato il ricorso di una società condannata, a seguito dell'infortunio sul lavoro subito da un suo dipendente, dal giudice d'Appello al pagamento a favore dell'INAIL del costo dell'infortunio indennizzato dall'Istituto.
La Corte di merito affermava che "nella specie non era emerso che il comportamento del lavoratore - il quale, nel piegare un tondino di ferro, era stato attinto ad un occhio da una scheggia - fosse stato abnorme o imprevedibile e, pur essendo stato accertato che il datore di lavoro aveva messo a disposizione del lavoratore gli occhiali protettivi, non risultava che il capo officina o altri avessero vigilato e preteso che tali occhiali venissero indossati. Tutto ciò comportava la responsabilità del datore di lavoro, considerato altresì che il lavoratore era stato assunto da poco tempo, era giovanissimo ed inesperto e, quale apprendista, avrebbe dovuto essere informato dei rischi che correva e delle cautele da adottare nell'esecuzione del lavoro in questione.".
La Suprema Corte ha precisato che "le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento".
E' altresì pacifico - si legge nella sentenza - che il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 cod. civ., si atteggia in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, esaltandosi in presenza di apprendisti nei cui confronti la legge pone precisi obblighi di formazione e addestramento, senza che in contrario possa assumere rilievo l'imprudenza dell'infortunato nell'assumere un'iniziativa di collaborazione nel cui ambito l'infortunio si sia verificato.
La Corte d'Appello - affermano i giudici di legittimità - ha fatto poi buon governo dei principi sopra richiamati, affermando che il datore di lavoro o un suo preposto non solo avrebbe dovuto mettere a disposizione dell'apprendista gli occhiali protettivi ed istruire il medesimo sull'esatto svolgimento della prestazione, ma avrebbe dovuto vigilare affinché venisse fatto effettivamente uso di tali occhiali e la prestazione venisse eseguita in conformità alle istruzioni impartitegli, tanto più che il lavoratore di giovane età ed assunto da meno di venti giorni era totalmente privo di esperienza.
Se è vero - conclude la Suprema Corte - che il giudice d'appello ha dato atto che nel luogo di lavoro vi erano gli occhiali protettivi e che essi, per disposizione del datore di lavoro, dovevano essere indossati allorché venivano eseguiti lavori che comportavano la formazione di schegge, tuttavia ha ritenuto responsabile il datore di lavoro sotto un diverso profilo, e cioè per non avere esercitato, attraverso il capo officina o altri, la dovuta vigilanza sia in ordine alla corretta esecuzione del lavoro affidato al lavoratore che all'effettivo uso da parte del medesimo delle misure protettive.
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