Con sentenza numero 23481/2012, La Corte di Cassazione Ha chiarito che una volta dichiarata l'illegittimità di un primo licenziamento per tardività dell'addebito disciplinare rispetto al fatto accertato, non può procedere se ad una seconda sanzione all'esito del procedimento penale riferito agli stessi fatti contestati. Ciò infatti violerebbe il principio del ne bis in idem, comune a tutti i rami del diritto.
Secondo la corte la sentenza del giudice penale non è un fatto nuovo e per questo non legittima il datore di lavoro ad esercitare una seconda volta il potere disciplinare.
L'iter giudiziario aveva inizio qualche anno fa, quando ad un uomo che lavorava alle dipendenze della Banca Nazionale del Lavoro veniva indirizzata la notifica di un provvedimento disciplinare che lo accusava di essersi indebitamente appropriato del denaro dei clienti per un ammontare di oltre 31.000 euro, in seguito alla quale veniva dapprima sospeso e infine licenziato.
Il lavoratore, dopo aver impugnato il provvedimento, otteneva però soddisfazione da parte del Tribunale adito, il quale dichiarava il licenziamento illegittimo e contemporaneamente ordinava l' immediata reintegrazione dell'uomo sul posto di lavoro.
Tuttavia la Banca, nello stesso momento in cui come da richiesta reitegrava il lavoratore, gli opponeva altresì un altro provvedimento punitivo, dichiarando che nel frattempo era intervenuta nei suoi riguardi sentenza di condanna in primo grado a carcere e multa per truffa ai danni della Banca stessa, contestandogli, tra l'altro, anche l' omissione della comunicazione all' ente della motivazione della sentenza di condanna; a seguito di ciò, il lavoratore veniva quindi nuovamente licenziato.
Anche stavolta tuttavia, il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento, in quanto i motivi alla base di esso erano i medesimi del precedente, per cui se era stato giudicato illegittimo il primo provvedimento lo stesso doveva valere, a maggior ragione, per quello successivo.
La Banca non aveva dunque alcun diritto di esercitare un potere disciplinare ormai consumato rispetto a detta circostanza. Quanto all' obbligo di informazione cui il lavoratore non avrebbe adempiuto, la Corte stabiliva che esso era ascrivibile alla sola notizia dell' avvio del procedimento a suo carico e che non sussisteva alcun onere di comunicazione della motivazione alla base della sentenza.
Vai al testo della sentenza 23841 /2012
Secondo la corte la sentenza del giudice penale non è un fatto nuovo e per questo non legittima il datore di lavoro ad esercitare una seconda volta il potere disciplinare.
L'iter giudiziario aveva inizio qualche anno fa, quando ad un uomo che lavorava alle dipendenze della Banca Nazionale del Lavoro veniva indirizzata la notifica di un provvedimento disciplinare che lo accusava di essersi indebitamente appropriato del denaro dei clienti per un ammontare di oltre 31.000 euro, in seguito alla quale veniva dapprima sospeso e infine licenziato.
Il lavoratore, dopo aver impugnato il provvedimento, otteneva però soddisfazione da parte del Tribunale adito, il quale dichiarava il licenziamento illegittimo e contemporaneamente ordinava l' immediata reintegrazione dell'uomo sul posto di lavoro.
Tuttavia la Banca, nello stesso momento in cui come da richiesta reitegrava il lavoratore, gli opponeva altresì un altro provvedimento punitivo, dichiarando che nel frattempo era intervenuta nei suoi riguardi sentenza di condanna in primo grado a carcere e multa per truffa ai danni della Banca stessa, contestandogli, tra l'altro, anche l' omissione della comunicazione all' ente della motivazione della sentenza di condanna; a seguito di ciò, il lavoratore veniva quindi nuovamente licenziato.
Anche stavolta tuttavia, il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento, in quanto i motivi alla base di esso erano i medesimi del precedente, per cui se era stato giudicato illegittimo il primo provvedimento lo stesso doveva valere, a maggior ragione, per quello successivo.
La Banca non aveva dunque alcun diritto di esercitare un potere disciplinare ormai consumato rispetto a detta circostanza. Quanto all' obbligo di informazione cui il lavoratore non avrebbe adempiuto, la Corte stabiliva che esso era ascrivibile alla sola notizia dell' avvio del procedimento a suo carico e che non sussisteva alcun onere di comunicazione della motivazione alla base della sentenza.
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