In ogni caso la valutazione della gravità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa, deve essere da quel giudice operata alla stregua della "ratio" degli artt. 2119 cod. civ. e 1 della legge 15 luglio 1966 n. 604, e cioè tenendo conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione, indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali, sicchè non incorre in vizio di contraddittorietà la sentenza che affermi la legittimità del recesso nonostante l'assoluzione del lavoratore in sede penale per le medesime vicende addotte dal suo datore di lavoro a giustificazione dell'immediata risoluzione del rapporto.
Con tale motivazione la Corte di Cassazione, con sentenza n. 802 del 15 gennaio 2013, ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore licenziato per giusta causa avverso la sentenza con cui la Corte territoriale aveva ritenuto legittimo il licenziamento essendo provato il fatto addebitatogli consistito nel furto di sessanta litri di carburante e considerando irrilevante l'archiviazione del procedimento penale promosso a carico del lavoratore.
Il ricorrente - precisa la Suprema Corte - propone sostanzialmente una rivisitazione del giudizio operato dai giudici di merito sia per quanto riguarda la valutazione delle prove sia per quanto riguarda la proporzionalità della sanzione.
Tali giudizi, riguardanti il merito, sono riservati ai giudici di merito e non sono sindacabili in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivati come nel caso in esame. Vai al testo della sentenza 802/2013 in PDF