Lex & the City - pensieri leggeri politicamente (s)corretti - episodio 18
La scuola è più che mai un tasto dolente e di grande attualità. Sarà l'effetto "iscrizioni online" che ha mandato in tilt il sistema (ma va?), sarà la crescente sensazione che manchi un ponte-radio tra studenti (e genitori) e insegnanti. Fatto sta che l'educazione (in senso didattico e comportamentale fa lo stesso!) scarseggia. A sollevare in me cotali dubbi sulle difficoltà comunicative, è la mia personale esperienza di docente e una sentenza della Cassazione, che in molti definirebbero simpatica ma che letta attentamente è raccapricciante. La sentenza in questione è la 3197, in cui la Quinta sezione penale ha convalidato una multa ad un insegnante che ha dato dell' "asino" ad un allievo, infierendo poi verbalmente sottolineandone incapacità ed inettitudine. Ora, per carità, che di teste calde ce ne siano dappertutto nessuno lo mette in dubbio, ma forse è giusto che anche il sistema didattico inizi a mettersi in discussione. Asino in sé non è certamente il peggiore degli insulti (anche se come ci ricorda la Cassazione usare epiteti animaleschi riferiti ad un essere umano non è cosa buona e giusta. Vedi "Cassazione: babbuino a chi?"), ed infatti ad essere condannata è una certa tendenza alla superiorità, ed al distacco, che comporta un atteggiamento discriminatorio e umiliante. Insegnare mi par voglia significare "trasmettere le proprie conoscenze", (ok questa me la sono giocata oggi con mia figlia alla domanda "cosa vuol dire insegnare?", e ha fatto la sua porca figura), così come anche tentare di trasmettere la propria passione per una materia, piuttosto che per un'altra. Favorire insomma il coinvolgimento. Certo, poi ci sono casi disperati come me, che seppur abbiano avuto professori innamorati di fisica e matematica, a riuscire a convincerci manco a parlarne. Insegnare, ve lo dico io, è un gran bel mestiere. Si è perennemente a contatto con linfa nuova, e se si è fortunati ogni tanto ci scappa pure il genio o talento, ma bisogna realmente crederci. Insegnare non è solo insomma imporre il proprio sapere, quanto invece trovare il giusto modo per creare empatia e rispetto. Solo così le nozioni acquisiranno un valore aggiunto, si sedimenteranno nel cervello invece che sfiorarlo soltanto. Essere "autorevoli" invece che "autoritari", evitando così le umiliazioni e favorendo le spiegazioni. L'offesa dunque non ha alcun senso in un simile progetto, e che anzi lo annienterebbe. Così come rischierebbe di alimentare problemi sociali assai gravi, come bullismo e stalking scolastico. Umiliare uno studente infatti potrebbe nel migliore dei casi farne un eroe da emulare, con rischio insurrezione (!), oppure un elemento da isolare e deridere. E sappiamo come potrebbe, tristemente, andare a finire. Purtroppo. Il mio editore mi ha suggerito un bella similitudine per sintetizzare il modus operandi ideale: "quando si giudica la bravura di un musicista si considera anche la sua capacità di coinvolgere il pubblico. Se il pubblico non lo ascolta non è per colpa degli spettatori ma del musicista che non ha saputo coinvolgere". E voi che pensate? barbaralgsordi@gmail.it
La scuola è più che mai un tasto dolente e di grande attualità. Sarà l'effetto "iscrizioni online" che ha mandato in tilt il sistema (ma va?), sarà la crescente sensazione che manchi un ponte-radio tra studenti (e genitori) e insegnanti. Fatto sta che l'educazione (in senso didattico e comportamentale fa lo stesso!) scarseggia. A sollevare in me cotali dubbi sulle difficoltà comunicative, è la mia personale esperienza di docente e una sentenza della Cassazione, che in molti definirebbero simpatica ma che letta attentamente è raccapricciante. La sentenza in questione è la 3197, in cui la Quinta sezione penale ha convalidato una multa ad un insegnante che ha dato dell' "asino" ad un allievo, infierendo poi verbalmente sottolineandone incapacità ed inettitudine. Ora, per carità, che di teste calde ce ne siano dappertutto nessuno lo mette in dubbio, ma forse è giusto che anche il sistema didattico inizi a mettersi in discussione. Asino in sé non è certamente il peggiore degli insulti (anche se come ci ricorda la Cassazione usare epiteti animaleschi riferiti ad un essere umano non è cosa buona e giusta. Vedi "Cassazione: babbuino a chi?"), ed infatti ad essere condannata è una certa tendenza alla superiorità, ed al distacco, che comporta un atteggiamento discriminatorio e umiliante. Insegnare mi par voglia significare "trasmettere le proprie conoscenze", (ok questa me la sono giocata oggi con mia figlia alla domanda "cosa vuol dire insegnare?", e ha fatto la sua porca figura), così come anche tentare di trasmettere la propria passione per una materia, piuttosto che per un'altra. Favorire insomma il coinvolgimento. Certo, poi ci sono casi disperati come me, che seppur abbiano avuto professori innamorati di fisica e matematica, a riuscire a convincerci manco a parlarne. Insegnare, ve lo dico io, è un gran bel mestiere. Si è perennemente a contatto con linfa nuova, e se si è fortunati ogni tanto ci scappa pure il genio o talento, ma bisogna realmente crederci. Insegnare non è solo insomma imporre il proprio sapere, quanto invece trovare il giusto modo per creare empatia e rispetto. Solo così le nozioni acquisiranno un valore aggiunto, si sedimenteranno nel cervello invece che sfiorarlo soltanto. Essere "autorevoli" invece che "autoritari", evitando così le umiliazioni e favorendo le spiegazioni. L'offesa dunque non ha alcun senso in un simile progetto, e che anzi lo annienterebbe. Così come rischierebbe di alimentare problemi sociali assai gravi, come bullismo e stalking scolastico. Umiliare uno studente infatti potrebbe nel migliore dei casi farne un eroe da emulare, con rischio insurrezione (!), oppure un elemento da isolare e deridere. E sappiamo come potrebbe, tristemente, andare a finire. Purtroppo. Il mio editore mi ha suggerito un bella similitudine per sintetizzare il modus operandi ideale: "quando si giudica la bravura di un musicista si considera anche la sua capacità di coinvolgere il pubblico. Se il pubblico non lo ascolta non è per colpa degli spettatori ma del musicista che non ha saputo coinvolgere". E voi che pensate? barbaralgsordi@gmail.it
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