Una sentenza della Cassazione, la 1471/2013, mette in chiaro il ruolo giocato dal datore di lavoro in tali situazioni: l'azienda ha sempre l'obbligo di proteggere il proprio dipendente, se al corrente del perpetrarsi di questa situazione.
Non farlo può far scattare l'obbligo di risarcire la vittima per il danno subito. Nel caso specifico la Sezione Lavoro della Suprema Corte ha convalidato una condanna a risarcimento danni nei confronti di un'azienda veneta, rea di non aver messo fine "alla protrazione nel tempo del mobbing consistito in dileggio e altre vessazioni" ai danni di un lavoratore che, oltretutto, era stato demansionato.
Indice della guida sul mobbing:
- Guida legale sul mobbing
- Il mobbing familiare
- Il mobbing scolastico
- Cassazione: configurabilità del mobbing e onere della prova
- Il mobbing infermieristico
- Cassazione: se l'azienda non protegge dal mobbing, il lavoratore va risarcito
- Difendersi dal mobbing
I giudici della Cassazione hanno spiegato che "il datore di lavoro è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente ad una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi dove venga accertato che, pur essendo a conoscenza dei comportamenti scorretti posti in essere da questi ultimi, non si sia attivato per farli cessare". Quindi quella dell'azienda è una "responsabilità omissiva".
Nel difendersi l'azienda aveva sostenuto "di non avere saputo, prima del novembre 2003, degli espisodi di dileggio di cui il lavoratore fu vittima da parte dei colleghi". La sezione Lavoro ha però evidenziato che il datore di lavoro deve "dimostrare di avere adottato tutte le misure dirette ad impedire la protrazione della condotta illecita". Se non lo fa, "è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente ad una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi".
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