Ai sensi dell'art. 295 c.p.c., infatti, "il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia
, dalla cui definizione dipende la decisione della causa". Secondo la ricostruzione dei fatti, il Tribunale di Parma dichiarava con sentenza non definitiva, la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra i coniugi e poi, con la sentenza definitiva, condannava l'ex marito a corrispondere alla ex moglie un assegno mensile.L'uomo impugnava la seconda sentenza
, riproponendo l'eccezione, già disattesa dal Tribunale, di sospensione del processo per la pendenza del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio. La Corte di Bologna respingeva sia tale eccezione che l'appello, così l'ex marito proponeva ricorso per cassazione con un unico motivo di ricorso relativo alla questione della sospensione del processo per la pendenza del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio precisando che tale questione è sollevata non già con riferimento al giudizio di divorzio (la cui decisione in primo grado non è stata appellata), bensì con riferimento al giudizio sul riconoscimento dell'assegno divorzile, destinato a concludersi per cessazione della materia del contendere una volta passata in giudicato la sentenza dichiarativa dell'efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.Ritenendo il motivo infondato, i giudici della prima sezione civile hanno spiegato che "secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - (Cass. 24990/2010, 11020/2005, 11751/2001 e altre) -fra il giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio concordatario e giudizio di cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste rapporto di pregiudizialità tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., a causa della pendenza del primo e in attesa della sua definizione, trattandosi di procedimenti autonomi non solo sfocianti in decisioni di diversa natura e aventi finalità e presupposto diversi, ma aventi specifico rilievo in ordinamenti diversi, tanto che la decisione ecclesiastica solo a seguito di giudizio eventuale di delibazione, e non automaticamente, può produrre effetti nell'ordinamento italiano".
Gli Ermellini hanno poi aggiunto che non rileva un rapporto di pregiudizialità neanche se si dovesse prendere in considerazione, in luogo del giudizio ecclesiastico, il successivo giudizio civile di delibazione della sentenza che lo conclude: "quest'ultimo giudizio, infatti, non ha ad oggetto la nullità del matrimonio, bensì la declaratorio di esecutività della sentenza ecclesiastica che l'ha pronunciata".
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