La responsabilità professionale dell'avvocato non sussiste per il semplice fatto che non vi è stato un adempimento corretto dell'attività professionale. È quanto afferma la terza sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza numero 2638/2013) specificando che, per potersi affermare una responsabilità professionale è necessario accertare se ciò che ha determinato un pregiudizio al cliente sia riconducibile alla condotta dell'avvocato.
La parte che intende essere risarcita deve inoltre dimostrare che vi è stato un danno effettivo e che, nel caso in cui il suo legale avesse tenuto una condotta corretta, avrebbe ottenuto il riconoscimento delle sue ragioni. In mancanza di queste prove non si può affermare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'avvocato e di risultato del giudizio.
La parte che intende essere risarcita deve inoltre dimostrare che vi è stato un danno effettivo e che, nel caso in cui il suo legale avesse tenuto una condotta corretta, avrebbe ottenuto il riconoscimento delle sue ragioni. In mancanza di queste prove non si può affermare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'avvocato e di risultato del giudizio.
Nel caso preso in esame dai giudici di piazza Cavour un avvocato non aveva proposto impugnazione contro un provvedimento di condanna. Il cliente però era stato avvertito in tempo utile e pertanto la mancata tempestiva posizione dell'impugnazione non poteva considerarsi riconducibile ad un'omissione del legale ma all'inerzia del cliente.
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