"In tema di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, la distinzione tra contratto di appalto e quello di somministrazione di manodopera va operata non soltanto con riferimento alla proprietà dei fattori di produzione ma altresì alla verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio d'Impresa, in assenza dei quali si configura una mera fornitura di prestazione lavorativa che, se effettuata da soggetti non autorizzati, configura il reato di cui all'art. 18 del D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276.". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7070 del 13 febbraio 2013 in merito alla colpevolezza di un imprenditore in ordine al reato di cui all'art. 18, comma 2, del D. Lgs n. 276/2003, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante di una società, ricorreva alla somministrazione di manodopera, per un totale di 924 giornate per ciascun dipendente, fornita da società non avente i requisiti dell'agenzia di somministrazione di lavoro abilitata.
La Suprema Corte ha affermato che il giudice di merito ha correttamente applicato l'enunciato principio di diritto, ritenendo integrata la fattispecie di reato ascritta all'imputato
, accertando in punto di fatto che l'azienda di cui è legale rappresentante l'imputato aveva utilizzato due operai, in base a due contratti di appalto aventi ad oggetto l'incarico di svolgere attività di revisione di motori, cambi e differenziali. Tali contratti, secondo l'accertamento di merito, dovevano riferirsi in effetti ad un rapporto di somministrazione di mano d'opera illecito, non sussistendo gli elementi propri del contratto di appalto. E' infatti emerso dall'accertamento di fatto, mediante puntuali riferimenti alle risultanze probatorie, che la società che aveva fornito i due lavoratori, non ha mai esercitato alcun potere direttivo o organizzativo in ordine all'espletamento delle mansioni ad essi affidate, né aveva assunto alcun rischio di impresa, operando, tra l'altro, in un settore del tutto diverso da quello della società assuntrice dei lavoratori, o apprestato alcuna reale organizzazione di mezzi per l'esecuzione dei lavori formalmente affidati in appalto.Alla luce di tali risultanze - precisano i giudici di legittimità - il contratto di appalto si configura con certezza come simulato, celando una mera fornitura di prestazione lavorativa, vietata in assenza della prescritta autorizzazione. L'utilizzatore della mano d'opera è incorso, pertanto, nella sanzione di cui di cui all'art. 18, comma 2, del citato D.Lgs n. 276/2003.
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