"Mentre le norme sul collocamento ordinario prevedono che la richiesta dell'imprenditore deve essere numerica per categoria e qualifica professionale e correlativamente gli iscritti nelle liste sono suddivisi per classi, settori di produzione, categorie e qualifiche, invece, la disciplina del collocamento obbligatorio prescrive soltanto che la richiesta sia numerica (e solo eccezionalmente nominativa), senza però prevedere ulteriori specificazioni in ordine alla professionalità del lavoratore che l'imprenditore intende assumere, pertanto, ove quest'ultimo abbia fatto richiesta di avviamento (obbligatorio) di un lavoratore invalido (od assimilato) aventi specifiche attitudini lavorative, l'Ufficio, può soltanto individuare in quale delle due fondamentali categorie professionali (impiegatizia od operaia) previste dall'art. 2095 cod. civ. tali attitudini siano inquadrabili e provvedere in conformità di tale generico inquadramento."
Questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 5546 del 6 marzo 2013, ha altresì precisato che "nell'ipotesi di divergenza tra la categoria indicata nella richiesta e quella di appartenenza del lavoratore avviato non viene ad esistenza il diritto soggettivo di quest'ultimo ad essere assunto dall'impresa destinataria dell'ordine di assegnazione e diventa legittimo l'eventuale rifiuto dell'imprenditore di assumere il lavoratore avviato che non rientri nella generale categoria professionale risultante dalla richiesta". Applicando, pertanto, il principio in parola al caso di specie preso in esame dalla Suprema Corte e, tenuto conto che non è contestata la circostanza secondo la quale la richiesta di avviamento riguardava 53 infermieri professionali e, quindi, impiegati, è da qualificarsi legittimo il rifiuto della società di assumere la lavoratrice avviata, invece, come operaia.
E', quindi, errata in diritto la sentenza impugnata che non ha tenuto conto, riguardo alla fattispecie concreta, della regula iuris sopra richiamata e che aveva posto a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale "potendosi, nella specifica materia del collocamento obbligatorio ratione temporis, fare unicamente distinzione tra operai ed impiegati ed essendosi la società limitata a chiedere l'avviamento di infermieri professionali, doveva considerarsi, in mancanza di ulteriore specificazione da parte della società, legittimo l'avviamento della lavoratrice nonostante questa fosse iscritta quale operaia.
Né secondo la Corte territoriale poteva condurre a diverse conclusioni l'assunto della società secondo il quale l'infermiere professionale era da equiparare all'impiegato poiché, a fronte delle risposta alla richiesta di avviamento da parte dell'Ufficio del lavoro che sarebbero stati avviati lavoratori privi della qualifica richiesta, nulla la società aveva replicato."
Questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 5546 del 6 marzo 2013, ha altresì precisato che "nell'ipotesi di divergenza tra la categoria indicata nella richiesta e quella di appartenenza del lavoratore avviato non viene ad esistenza il diritto soggettivo di quest'ultimo ad essere assunto dall'impresa destinataria dell'ordine di assegnazione e diventa legittimo l'eventuale rifiuto dell'imprenditore di assumere il lavoratore avviato che non rientri nella generale categoria professionale risultante dalla richiesta". Applicando, pertanto, il principio in parola al caso di specie preso in esame dalla Suprema Corte e, tenuto conto che non è contestata la circostanza secondo la quale la richiesta di avviamento riguardava 53 infermieri professionali e, quindi, impiegati, è da qualificarsi legittimo il rifiuto della società di assumere la lavoratrice avviata, invece, come operaia.
E', quindi, errata in diritto la sentenza impugnata che non ha tenuto conto, riguardo alla fattispecie concreta, della regula iuris sopra richiamata e che aveva posto a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale "potendosi, nella specifica materia del collocamento obbligatorio ratione temporis, fare unicamente distinzione tra operai ed impiegati ed essendosi la società limitata a chiedere l'avviamento di infermieri professionali, doveva considerarsi, in mancanza di ulteriore specificazione da parte della società, legittimo l'avviamento della lavoratrice nonostante questa fosse iscritta quale operaia.
Né secondo la Corte territoriale poteva condurre a diverse conclusioni l'assunto della società secondo il quale l'infermiere professionale era da equiparare all'impiegato poiché, a fronte delle risposta alla richiesta di avviamento da parte dell'Ufficio del lavoro che sarebbero stati avviati lavoratori privi della qualifica richiesta, nulla la società aveva replicato."
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