"Sentenza - progresso". Così potremmo definire la decisione n. 4809 / 2013 della terza sezione civile della Corte di Cassazione, che solleva il velo sul nonnismo in caserma, «fenomeno deprecabile» - come affermato dagli stessi Giudici - ma purtroppo talmente radicato da essere considerato una prassi pressoché ineluttabile se non addirittura un motivo di orgoglio da chi lo esercita.

Secondo la mentalità spartana vigente in certi ambienti, anzi, la versione militaresca di mobbing e bullismo sarebbe financo un benefico trattamento di rinforzo per i caratteri troppo deboli, ovvero opererebbe come una sorta di selezione naturale nei confronti degli individui "meno adatti". 

E certo, un effetto "selettivo" - nel senso di eliminatorio - le umiliazioni e le vessazioni fisiche e psicologiche inflitte da superiori e commilitoni hanno sortito su X, che in seguito al pur breve periodo (un mese al netto di congedi e ricoveri) trascorso nelle caserme di Trapani e di Messina fra gli anni ‘96 e ‘97, ha visto indebolirsi vieppiù il suo già delicato equilibrio mentale

X, che convive oggi con una psicosi schizofrenica conclamata, aveva evidenziato già alla prima visita di leva lievi disturbi del comportamento, tanto da essere giudicato dal personale medico un soggetto «rivedibile» perché portatore di una «personalità fragile e insicura». (Mentre nelle due visite successive fu ritenuto idoneo). 

Su tali basi, la Corte di Appello di Messina ha ritenuto colpevoli i dipendenti dell'amministrazione militare sia per aver infine giudicato il ragazzo idoneo al servizio militare sia per non aver adottato maggiori cautele durante la naia per riparare lo stesso dagli effetti deleteri degli episodi di nonnismo. E condannava pertanto, nel 2008, il Ministero della Difesa al risarcimento dei danni per l'aggravamento delle patologie psichiche del giovane. Lo scorso 26 novembre la Suprema Corte ha confermato la sentenza di secondo grado, con un'attribuzione di responsabilità (nei confronti del Ministero della Difesa) che crea un precedente importante nella stigmatizzazione di certe riprovevoli condotte.


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