La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11062 dell'8 marzo 2013, ha affermato che "in tema di reati colposi, la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l'evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno".
Nel caso preso in esame dalla Suprema Corte, un lavoratore, addetto a lavori di pulizia, mentre stava salendo lungo una scala a pioli cadeva dalla stessa riportando lesioni che ne determinavano una malattia guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni. Al datore di lavoro veniva ascritto non solo di non aver operato la valutazione del rischio da caduta dall'alto, da posture incongrue, ma anche di aver omesso di valutare i rischi connessi allo stress da lavoro ripetitivo.
Il primo giudice riteneva accertato, sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, che la caduta era dovuta all'eccessiva stanchezza del lavoratore, giunto alla fine della giornata lavorativa all'ultimo vetro da pulire e riteneva altresì che tanto la stanchezza che la conseguente caduta fossero da ascrivere alla mancata valutazione dei rischi che qualora eseguita avrebbe consentito di prevedere modalità operative tali da ridurre lo stress da lavoro ripetitivo e da postura.
Riteneva quindi il Tribunale che tra la trasgressione cautelare e l'infortunio sul lavoro subito vi fosse un nesso eziologico, poiché l'evento era stato determinato "dalla situazione di stress e di stanchezza del lavoratore, dovuta all'effettuazione in serie di un lavoro ripetitivo e che richiedeva una postura e dei movimenti disergonomici", con accentuazione dei rischi "a causa delle modalità operative correnti, quali il trasporto delle necessarie attrezzature di pulizia da parte del lavoratore, durante la salita sulla scala, e la necessità dì svolgere il lavoro in tempi estremamente ristretti".
Non vi è alcun dubbio - affermano i giudici di legittimità - che nella sequenza degli accadimenti che esitarono nell'infortunio del lavoratore non intervenne alcun fattore estraneo all'esecuzione del lavoro, sicché è altamente probabile che se quelle condizioni di lavoro fossero state differenti (quelle poste in essere dopo il sinistro ovvero la previsione di una "apposita procedura, che limita la durata di tali operazioni, per evitare affaticamenti e rischi derivanti da lavori ripetitivi", con l'assegnazione del lavoratore ad altra mansione che non comporti affaticamento bio-meccanico ogni due ore di lavoro di pulizia di vetri con scale o trabatelli, nonché altre misure ancora dirette a fronteggiare i rischi in questione) l'infortunio non si sarebbe verificato.
Nel caso preso in esame dalla Suprema Corte, un lavoratore, addetto a lavori di pulizia, mentre stava salendo lungo una scala a pioli cadeva dalla stessa riportando lesioni che ne determinavano una malattia guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni. Al datore di lavoro veniva ascritto non solo di non aver operato la valutazione del rischio da caduta dall'alto, da posture incongrue, ma anche di aver omesso di valutare i rischi connessi allo stress da lavoro ripetitivo.
Il primo giudice riteneva accertato, sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, che la caduta era dovuta all'eccessiva stanchezza del lavoratore, giunto alla fine della giornata lavorativa all'ultimo vetro da pulire e riteneva altresì che tanto la stanchezza che la conseguente caduta fossero da ascrivere alla mancata valutazione dei rischi che qualora eseguita avrebbe consentito di prevedere modalità operative tali da ridurre lo stress da lavoro ripetitivo e da postura.
Riteneva quindi il Tribunale che tra la trasgressione cautelare e l'infortunio sul lavoro subito vi fosse un nesso eziologico, poiché l'evento era stato determinato "dalla situazione di stress e di stanchezza del lavoratore, dovuta all'effettuazione in serie di un lavoro ripetitivo e che richiedeva una postura e dei movimenti disergonomici", con accentuazione dei rischi "a causa delle modalità operative correnti, quali il trasporto delle necessarie attrezzature di pulizia da parte del lavoratore, durante la salita sulla scala, e la necessità dì svolgere il lavoro in tempi estremamente ristretti".
Non vi è alcun dubbio - affermano i giudici di legittimità - che nella sequenza degli accadimenti che esitarono nell'infortunio del lavoratore non intervenne alcun fattore estraneo all'esecuzione del lavoro, sicché è altamente probabile che se quelle condizioni di lavoro fossero state differenti (quelle poste in essere dopo il sinistro ovvero la previsione di una "apposita procedura, che limita la durata di tali operazioni, per evitare affaticamenti e rischi derivanti da lavori ripetitivi", con l'assegnazione del lavoratore ad altra mansione che non comporti affaticamento bio-meccanico ogni due ore di lavoro di pulizia di vetri con scale o trabatelli, nonché altre misure ancora dirette a fronteggiare i rischi in questione) l'infortunio non si sarebbe verificato.
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