La fattispecie della concorrenza sleale, perseguibile ai fini civili ex art. 2598 codice civile, è integrata nel caso in cui un'azienda adotti comportamenti idonei a screditare un'impresa concorrente o a indurre confusione nel pubblico all'atto della scelta del prodotto (c.d. pubblicità ingannevole). La norma in oggetto fornisce un elenco dei comportamenti denigranti, non esaustivo ma meramente esplicativo, adottando in chiusura la formula generica del "si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda". Una sua integrazione implica l'obbligo per l'azienda colpevole di rimuovere a proprie spese le cause del pregiudizio arrecato, nonché la condanna al risarcimento del danno a favore dell'azienda danneggiata.
Perchè tale fattispecie sia integrata occorre tuttavia che la danneggiata provi sia la reale perdita patrimoniale subita, sia la non futilità del danno ricevuto. Le informazioni screditanti devono poi essere state rivolte ad un pubblico indistinto o comunque ad una platea consistente: nel caso in oggetto non sono stati provati alcuni dei predetti requisiti, essendo state le informazioni screditanti comunicate a singoli individui, in un contesto limitato e soltanto occasionalmente.
La Suprema Corte ha dunque respinto la richiesta di risarcimento del danno di un'impresa che non è stata in grado di provare tutti questi elementi, nemmeno tramite presunzioni semplici.Vai al testo della sentenza 5848/2013