Piantiamola un attimo con il magone del filtro in appello e l'udienza filtrante, esaminati nei giorni scorsi: ecco la PARTE SECONDA del viaggio attraverso il danno non patrimoniale da MORTE iniziato su Studio Cataldi il 6 marzo 2013 e consultabile nel link riportato qui in calce.
In margine a tale pezzetto commenta argutamente il nostro lettore E. Bavasso: "Sarà che siamo abituati a complicarci la vita, figuriamoci la morte, ma non sarà anche che i dottrinari ci godono un po'!"? (ho aggiunto un punto interrogativo al post del visitatore: mi piace il suo modo di giocare con le parole vita-morte), mentre la dolce Serena Ginevra, movimentatrice del nostro forum, annota una frase che non penso di meritare: "Bellissimo articolo, sensibile, morale ...inconsueto ...in un mondo fortemente materiale e vizioso!"
Riprendo la trattazione dalla classificazione del mio caro Amico Gino Michele Domenico Arnone, che certo non serve a complicarci la vita al cospetto della morte, ma a trarre spunto dallo stato del diritto ...vivente nella ricerca (si spera non vana) di un ordine: punto primo sul danno tanatologico che - va detto a chiare note - non è assolutamente risarcibile, almeno non ancora e malgrado l'art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, recepita dal Trattato di Lisbona. E la CEDU non tutela solo la salute, ma anche la vita. Tale voce di danno appartiene al decuius e si trasmette(-rebbe), per diritto ereditario, ai superstiti.
Ce lo dice chiaramente Cass. Civ., Sez. III, 11 ottobre 2012, n. 17320, opera del magistero del Dott. Giovanni Battista Petti, che nel frangente presiede quella Terza Sezione che annovera anche Maurizio Massera, Roberta Vivaldi, Giuseppa Carluccio e Francesco M. Cirillo, e redige anche la sentenza. Eccone la massima che estraggo da DeJure: "In tema di risarcimento del danno conseguente ad un sinistro con esiti mortali, la tutela del bene della vita è adeguatamente protetto dall'ordinamento giuridico italiano attraverso l'applicazione, orientata costituzionalmente, delle norme del codice civile e delle altre leggi che regolano la circolazione dei veicoli. Pertanto, non può dirsi violato il precetto costituzionale ove i giudici abbiano negato ai congiunti della vittima del sinistro stradale il risarcimento del danno parentale biologico e morale terminale, per non provata cosciente percezione della perdita della vita da parte della vittima stessa".
Su questa pronuncia ci sarebbe da svolgere una miriade di annotazioni e le riserverò alla prossima puntata se, per la brutalità del caso di omicidio colposo da illecito civile, Vi vorrete proprio far accapponare la pelle per l'argomento: "la morte immediata della vittima, arsa viva e quindi estinta per le lesioni costituite dalla bruciatura di un corpo vivo e sano". Se volete e potete, continuate a seguire, nei prossimi giorni, le spiegazioni di LIA.
Vedi anche: DANNO NON PATRIMONIALE DA MORTE - Consigli per muoversi nel dedalo inestricabile
In margine a tale pezzetto commenta argutamente il nostro lettore E. Bavasso: "Sarà che siamo abituati a complicarci la vita, figuriamoci la morte, ma non sarà anche che i dottrinari ci godono un po'!"? (ho aggiunto un punto interrogativo al post del visitatore: mi piace il suo modo di giocare con le parole vita-morte), mentre la dolce Serena Ginevra, movimentatrice del nostro forum, annota una frase che non penso di meritare: "Bellissimo articolo, sensibile, morale ...inconsueto ...in un mondo fortemente materiale e vizioso!"
Riprendo la trattazione dalla classificazione del mio caro Amico Gino Michele Domenico Arnone, che certo non serve a complicarci la vita al cospetto della morte, ma a trarre spunto dallo stato del diritto ...vivente nella ricerca (si spera non vana) di un ordine: punto primo sul danno tanatologico che - va detto a chiare note - non è assolutamente risarcibile, almeno non ancora e malgrado l'art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, recepita dal Trattato di Lisbona. E la CEDU non tutela solo la salute, ma anche la vita. Tale voce di danno appartiene al decuius e si trasmette(-rebbe), per diritto ereditario, ai superstiti.
Ce lo dice chiaramente Cass. Civ., Sez. III, 11 ottobre 2012, n. 17320, opera del magistero del Dott. Giovanni Battista Petti, che nel frangente presiede quella Terza Sezione che annovera anche Maurizio Massera, Roberta Vivaldi, Giuseppa Carluccio e Francesco M. Cirillo, e redige anche la sentenza. Eccone la massima che estraggo da DeJure: "In tema di risarcimento del danno conseguente ad un sinistro con esiti mortali, la tutela del bene della vita è adeguatamente protetto dall'ordinamento giuridico italiano attraverso l'applicazione, orientata costituzionalmente, delle norme del codice civile e delle altre leggi che regolano la circolazione dei veicoli. Pertanto, non può dirsi violato il precetto costituzionale ove i giudici abbiano negato ai congiunti della vittima del sinistro stradale il risarcimento del danno parentale biologico e morale terminale, per non provata cosciente percezione della perdita della vita da parte della vittima stessa".
Su questa pronuncia ci sarebbe da svolgere una miriade di annotazioni e le riserverò alla prossima puntata se, per la brutalità del caso di omicidio colposo da illecito civile, Vi vorrete proprio far accapponare la pelle per l'argomento: "la morte immediata della vittima, arsa viva e quindi estinta per le lesioni costituite dalla bruciatura di un corpo vivo e sano". Se volete e potete, continuate a seguire, nei prossimi giorni, le spiegazioni di LIA.
Vedi anche: DANNO NON PATRIMONIALE DA MORTE - Consigli per muoversi nel dedalo inestricabile
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