In primo grado il Tribunale di Livorno (sentenza del 15 aprile 2003) riconosceva a P.S e B.D. un risarcimento danni per un importo pari a 58.617 euro. Una cifra che comprendeva naturalmente tutte le mensilità perse per via dei lavori. Lavori di cui i due erano stati tenuti all'oscuro, mentre l'allora proprietario M.B. ne era perfettamente al corrente. Il condominio
del resto aveva anche richiesto l'adesione alla esecuzione dei lavori. L'adesione di fatto non è mai stata data, e l'appartamento era stato così escluso dall'erogazione dell'acqua, con tanto di chiusura dei contatori; tutto ciò, nonostante i due avessero continuato a pagare le spese per tale servizio.La Corte d'Appello di Firenze nel febbraio 2006 ribaltava il verdetto e il caso finiva in Cassazione dove M.B. evidenziava che "la mancata fornitura di acqua al P.S. sarebbe stata causata dalla concorde decisione dei condomini di eliminare l'impianto comune per dotarsi di condutture singole". Con la sentenza n.6086/2013 la Terza sezione civile della Suprema corte ha dato ragione a M.B. evidenziando che nel caso di specie i ricorrenti non avevano fornito alcun dettaglio significativo ed utile per la quantificazione del danno subito e che "l'attore, il quale abbia proposto una domanda di condanna al risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio ha l'onere di fornire la prova concreta e certa del danno".
Non solo: il lungo periodo intercorso prima della richiesta risarcitoria non ha deposto a favore dei due, infatti "il danno in re ipsa [...] non va riconosciuto quando risulti che il dominio si sia intenzionalmente e per lungo periodo disinteressato dell'immobile od abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione". Vai al testo della sentenza 6086/2013barbaralgsordi@gmail.it