Corte di Cassazione (sentenza n. 6868 del 20 marzo 2013)
In tema di divorzio e alla luce dell'art. 5, comma 6, della legge 10 dicembre 1970, n.898, come modificalo dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il giudice, chiamato a decidere sull'attribuzione dell'assegno di divorzio, è tenuto a "verificare l'esistenza del diritto in astratto in relazione all'inadeguatezza, al momento della decisione, dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli, da parte del coniuge "più debole", per ragioni oggettive, raffrontati a un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio".
Tale principio di diritto è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 6868 del 20 marzo 2013) nella quale ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano respinto la domanda avanzata da un uomo al fine di vedere revocato l'assegno divorziale - che lo stesso doveva versare alla ex moglie - in conseguenza della vendita della casa familiare e della conseguente divisione del ricavato a metà tra i coniugi.
I giudici di legittimità, nel confermare l'obbligo del contributo mensile, hanno sottolineato come, nella fattispecie, era irrilevante la somma che la donna aveva ricavato dalla vendita dell'immobile comune, stante la sostanziale disparità della situazione patrimoniale della stessa, una casalinga, rispetto a quella dell'ex marito e senza contare che la donna, che aveva contributo, per 25 anni di matrimonio, al patrimonio familiare, doveva, inoltre, provvedere al reperimento di altro alloggio e a oneri connessi.
Analizzata la situazione patrimoniale di entrambi i coniugi, e rilevato un notevole divario a vantaggio di lui (Cass. sent. n. 2313/2013), l'assegno ha lo scopo di ricostruire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e i giudici di merito hanno, dunque, correttamente applicato i criteri per la determinazione dell'assegno, posto che la condizione patrimoniale della ex non le avrebbe consentito di mantenere quel tenore di vita.
Tale principio di diritto è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 6868 del 20 marzo 2013) nella quale ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano respinto la domanda avanzata da un uomo al fine di vedere revocato l'assegno divorziale - che lo stesso doveva versare alla ex moglie - in conseguenza della vendita della casa familiare e della conseguente divisione del ricavato a metà tra i coniugi.
I giudici di legittimità, nel confermare l'obbligo del contributo mensile, hanno sottolineato come, nella fattispecie, era irrilevante la somma che la donna aveva ricavato dalla vendita dell'immobile comune, stante la sostanziale disparità della situazione patrimoniale della stessa, una casalinga, rispetto a quella dell'ex marito e senza contare che la donna, che aveva contributo, per 25 anni di matrimonio, al patrimonio familiare, doveva, inoltre, provvedere al reperimento di altro alloggio e a oneri connessi.
Analizzata la situazione patrimoniale di entrambi i coniugi, e rilevato un notevole divario a vantaggio di lui (Cass. sent. n. 2313/2013), l'assegno ha lo scopo di ricostruire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e i giudici di merito hanno, dunque, correttamente applicato i criteri per la determinazione dell'assegno, posto che la condizione patrimoniale della ex non le avrebbe consentito di mantenere quel tenore di vita.
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