Le pene previste si applicano infatti "anche all'imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale" (art. 385 cit.).
E' quanto emerge in una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. sez. VI penale del 5 febbraio 2013 n. 7780) nella quale ha precisato che le aree condominiali in genere (ivi compresi androni del palazzo in cui è sita l' abitazione in cui è agli arresti il soggetto attivo) non possono essere considerate pertinenze delle abitazioni private non costituendo né parte integrante né pertinenza esclusiva di esse.
Per configurare il reato di "evasione", è necessario stabilire cosa si intende per "abitazione".
Concetto che hanno ben chiarito i supremi giudici di legittimità, ribadendo che il concetto di abitazione, individuata come luogo dove deve rimanere agli arresti "deve correttamente intendersi come il luogo in cui la persona conduce la vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali cortili, giardini, terrazze che non rappresentino sostanziali e formali pertinenze in senso civilistico dell'immobile in cui si è agli arresti domiciliari, ossia elementi integranti non solo caratteri di essenziale funzionalità dell'immobile ma di questo costituente staticamente elemento imprescindibilmente collegato in detto carattere di funzionalità alla cosa principale".
Anche in altre pronunce la Corte (Cfr sentenza n.30983/2007 nella quale annullando una sentenza, precedentemente resa dai giudici di merito, che aveva assolto un uomo (agli arresti domiciliari) che, nel corso di un controllo della polizia giudiziaria, era stato trovato sulla terrazza del condominio. I giudici di merito avevano motivato l'assoluzione sostenendo che stazionare sulla terrazza condominiale non denota una volontà di sottrarsi al controllo stante anche la distanza limitata dalla propria abitazione) aveva precisato che il reato di evasione sussiste per "ogni allontanamento abusivo ancorché limitato nello spazio e nel tempo".
Commette dunque reato di evasione, ogni detenuto che, trovandosi in questa condizione, "se ne allontani anche per breve tempo, recandosi in luogo diverso da quello stabilito per l'esecuzione della misura alternativa".
Non si richiede, infatti, per l'integrazione del reato, un allontanamento definitivo o la mancanza dell'animus revertendi'" ma è necessario consentire "in pari tempo un agevole e pronto controllo all'autorità' di polizia sulla reperibilità degli imputati".
Insomma le parti comuni di un edificio in condominio (giardini, terrazze, cortili, scale, ecc.) non possono essere considerate pertinenze dell'abitazione e quindi il detenuto che varca tale soglia deve essere considerato evaso.