Questi i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 8611 del 9 aprile 2013, ha accolto il ricorso di un lavoratore che chiedeva il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro che gli aveva provocato un grave trauma cranico con postumi. Nella sentenza dei giudici di merito si legge che nella denuncia di infortunio indirizzata all'INAIL dal datore di lavoro il verificarsi dell'incidente occorso al ricorrente veniva così descritto: "s'infortunava cadendo da uno scaffale".
Dunque, nella denuncia di infortunio si dà atto che la causa dell'infortunio sarebbe stata non un mero scivolone - secondo l'ipotesi alternativa affrontata e non risolta in punto di fatto - bensì una caduta da uno scaffale. I giudici dei primi due gradi di giudizio ritenevano che tale denuncia non integrerebbe confessione vuoi perché priva del relativo elemento soggettivo vuoi perché non accompagnata da ulteriori precisazioni o dall'indicazione di testi oculari. Contrariamente a quanto affermato dai giudici d'appello, che hanno erroneamente inteso la portata dell'elemento soggettivo della confessione, il requisito della volontà e consapevolezza della dichiarazione confessoria - precisa la Suprema Corte - si limita alla dichiarazione stessa e non anche ai suoi potenziali effetti sfavorevoli.
Pertanto, la Cassazione cassa la sentenza e rinvia al giudice d'appello che dovrà attenersi ai principi di diritto affermati dai giudici di legittimità.