di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 8419 del 5 Aprile 2013.
Principio fondamentale alla base di qualsiasi genere di processo civile è il divieto di mutamento della domanda: gli articoli 184 e 189 c.p.c. esprimono l'esigenza del rispetto del contraddittorio tra le parti ed escludono di conseguenza ogni tipo di nuova formulazione o di modifica alla richiesta originaria ad opera delle parti. L'applicazione di tale principio va tuttavia rapportato al caso concreto.
Nel caso in oggetto la Suprema Corte è intervenuta per fare le dovute distinzioni. L'operatività delle norme di cui sopra, nel caso di specie, è infatti limitata: nell'ambito del processo civile promosso per accertare la responsabilità di due amministratori la Corte rileva come non sia intervenuto un vero e proprio mutamento della domanda principale. Gli elementi raccolti in fase istruttoria hanno evidenziato come gli stessi integrino altresì il reato di bancarotta fraudolenta, ma ciò non costituisce un mutamento della domanda originaria.
Inoltre, ai fini dell'applicabilità dei termini prescrizionali di cui all'art. 2947 cod. civ., la condotta criminosa mantenuta dagli amministratori della società, i quali avrebbero sottratto dalle casse sociali una cospicua somma di ricavi per confluire la stessa su un conto corrente personale, si inquadrerebbe come distrazione e non come appropriazione indebita (quest'ultima, dai risvolti più aspri). Il giudice di merito, nella sentenza di primo grado, non ha tenuto debitamente conto di questa circostanza.
Questa nuova configurazione, emersa soltanto in corso di causa, rileva in questo senso al solo fine di individuare il termine prescrizionale da applicare al caso corrente. Di conseguenza la Suprema Corte ha cassato la decisione del giudice di merito il quale ha escluso l'operatività dell'art. 2947 codice civile nonchè la sottoposizione dell'impresa a procedura concorsuale per sopravvenuta contestazione sul piano penale del reato di cui sopra.
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