di Paolo M. Storani - Su queste stesse colonne avrete modo di leggere che Nitto Francesco Palma, neo eletto (con polemiche, prima e dopo) Presidente della Commissione Giustizia del Senato, annuncia querela nei confronti di Maurizio Crozza, sontuoso protagonista dei recenti anni televisivi; alla domanda del sondaggio che correda la news di Studio Cataldi "Tu con chi stai?" affianco alcune noterelle che possano tentare di orientare i nostri visitatori.
IL FATTO - Sostiene il politico del PdL (magistrato inquirente quale Sostituto Procuratore di Roma e poi della DDA, ministro della Giustizia dopo un rimpasto nel Berlusconi IV dal 27.7.2011 al 16.11.2011) che durante la trasmissione di La7 intitolata Crozza nel paese delle meraviglie andata in onda venerdì scorso, 10 maggio 2013, "il signor Maurizio Crozza ha ritenuto di dedicare la sua attenzione alla mia persona. Senza entrare nel merito delle modalità della sua satira, rilevo che il Crozza ha affermato: la prima cosa che Nitto Palma ha fatto dopo la nomina a presidente della commissione Giustizia del Senato è stata quella di andare a trovare in carcere Cosentino, è come se il premio Nobel per la pace, appena premiato, andasse a trovare il signor Kalashnikov. La battuta può piacere o no, ma si fonda su un dato di fatto completamente falso".
Ho tratto la dichiarazione di Nitto Palma da www.corriere.it dell'11 maggio 2013 h.21:35: il brano è intitolato "Vergognoso" e l'aggettivo è indirizzato al comico.
Non avendo assistito in diretta al programma, l'ho guardato su Youtube; quel brano incriminato coincide con la descrizione fattane da Palma.
Si assiste alla raffigurazione di una determinata persona nota al grande pubblico in un'ottica canzonatoria, sarcastica, grottesca.
IL DIRITTO - Occorre ricordare che nel caso della satira la carica di offensività potenzialmente ingiuriosa e/o diffamatoria si volatilizza perché il messaggio viene collocato e percepito non già in un contesto informativo, bensì nella ricerca di un effetto comico, che ben può rappresentare la realtà in forme esasperate, smaccatamente esagerate, talora inverosimili.
Viene in mente il gruppo di commedie di Tito Maccio PLAUTO (nato verso il 250 a.C. e morto nel 184 a.C.) in cui trionfa la beffa, l'iperbole nella rappresentazione esagerata e caricaturale dei personaggi.
Talché, il contenuto della creazione satirica può dirsi anche in astratto non idoneo a pregiudicare la reputazione, ch'è il bene giuridico che viene tutelato dal reato di diffamazione.
Ma il diritto di satira ha anche agganci costituzionali di tutto rispetto: ad esempio, l'art. 21 Cost. sulla libertà d'espressione e di manifestazione del pensiero, che immediatamente lo presidia; il contenuto è un'affermazione solenne di riconquistata libertà dopo il triste ventennio fascista; sia l'art. 9.1 Cost. quale riconoscimento del carattere culturale dell'attività; infine, anche l'art. 33.1 Cost. letto in combinato disposto con l'art. 3 Cost., sicché ogni cittadino viene coperto dall'ombrello della causa di giustificazione, non soltanto chi opera professionalmente come i vignettisti, gli umoristi, i comici e gli attori in genere.
A questo punto apro una parentesi riportando un estratto di un saggio ...rassegnato ed eloquente sugli ostacoli allo svolgimento della professione di giornalista di Caterina Malavenda, pubblicato su MicroMega, 5/2009, pag. 131: "il reato di diffamazione, l'infortunio professionale più frequente, si perfeziona sia divulgando un fatto che leda la reputazione altrui, sia esprimendo un'opinione fortemente negativa, nei confronti di un soggetto identificabile: basta scrivere che un assessore è stato arrestato per corruzione o che un medico è indagato per omicidio colposo o anche stigmatizzare l'esito di un premio letterario per esser querelati. Toccherà poi dimostrare la verità di quanto si è scritto, l'interesse pubblico a conoscere quelle vicende e, soprattutto, che la forma stilistica utilizzata non sia stata inutilmente aggressiva. Solo così si potrà sperare - dico sperare e non esser certi, a ragion veduta - di essere assolti perché il fatto non costituisce reato, al pari di chi abbia sparato, uccidendo per difendersi e invochi la legittima difesa, non potendosi dubitare del fatto che tecnicamente è stato commesso un omicidio". Ricordo che Caterina è un ottimo avvocato cassazionista ed è autrice di corsi e testi su problematiche connesse alla professione giornalistica.
Sergio Saviane inventò il termine "mezzobusto" per qualificare i giornalisti televisivi; dopo una generale levata di scudi, oggi nessuno ravvisa più, nemmeno lontanamente, una carica lesiva al prestigio degli anchormen (e anchorwomen); soleva ripetere: "Un Paese che non sa ridere è un Paese triste. Un Paese che punisce chi vuol far ridere è un Paese che non dovrebbe essere frequentato da nessuno".
Ricorda l'episodio il leggendario Avv. Oreste Flamminii Minuto nel testo Troppi farabutti, edito da Baldini Castoldi Dalai nel 2009, che rileva: "La magistratura, in tema di satira, mostra tutta la sua insicurezza e la sua difficoltà ogni qual volta si trova a dover riempire norme in bianco.
Come dice l'avvocato Le Pera in un recente studio pubblicato sulla rivista Cassazione Penale, non solo sulla satira, ma nei reati di opinione in genere, la magistratura confonde il concetto, il significato del bene onore con quelli relativi alla reputazione unificando in un unico concetto i due distinti beni che furono tenuti chiaramente separati dal legislatore all'atto dell'emanazione delle norme che prevedevano la punizione della violazione di quei beni stessi.
L'onore è il senso di dignità che ciascuno ha per la sua persona, mentre la diffamazione è l'opinione che altri hanno di noi. Il primo implica una valutazione soggettiva, mentre la reputazione è una valutazione di terzi e il legislatore ha inteso punire la violazione di entrambi questi beni con due distinte disposizioni normative.
La prima presuppone che l'offesa all'onore abbia come necessario presupposto la presenza dell'offeso. In sua assenza, con la comunicazione con più persone, si ha la violazione di quel bene rappresentato dalla considerazione che altri hanno della persona offesa nella sua cerchia sociale".
Conclude Oreste Flamminii Minuto: "Secondo l'avvocato Le Pera la satira non ha la capacità di offendere l'onore altrui proprio perché viene esposta in assenza dell'interessato e, al tempo stesso, non può offendere la reputazione in quanto le modalità di esposizione sono tali da comportare la difformità dal vero, l'esagerazione, la deformazione e quant'altro contribuisce a rendere palese che la considerazione dei terzi non può venir intaccata da esposizioni di dati assolutamente non veritieri".
Purtroppo la giurisprudenza è caotica. Si dimentica della funzione di controllo sociale che svolge il diritto di satira con l'arma incruenta del sorriso, che tiene a bada la violenza e favorisce la tolleranza. Ed esaminiamo ora i limiti della satira ed il concetto di verità del fatto agitato da Nitto Palma.
Come abbiamo preannunciato, malgrado l'impossibilità per la satira di offendere il bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 595 Codice Penale, la giurisprudenza non rinuncia a costruire la satira come causa di giustificazione.
Talché, l'approccio implica la ricerca dell'eventuale rispetto del criterio della verità.
Così Cassazione 20 ottobre 1998, n. 13563, depositata il 22 dicembre 1998, Pres. Aldo SAULINO, Est. Mario ROTELLA, opina che "la satira, che mira all'ironia sino al sarcasmo e comunque all'irrisione di chi esercita un pubblico potere, è legittima anche se offre una rappresentazione surreale della realtà dei fatti, purché rilevante in relazione alla notorietà della persona, con il limite rappresentato dall'attribuzione di fatti non veri". Nella fattispecie, sul piano della continenza il linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale della satira (grafica in quel caso) è svincolato da forme convenzionali, onde non si può applicarle il consueto metro di correttezza dell'espressione.
Ma, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, la satira non può superare il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona, oltre al ludibrio della sua immagine pubblica, al disprezzo; infatti, la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito secondo cui è superato il limite della continenza in una vignetta, che lede la femminilità dell'offesa, una senatrice del gruppo parlamentare presieduto da Silvio Berlusconi, raffigurata, in una volgare metafora, nell'atto di praticare una fellatio al microfono di cui è dotato il seggio senatoriale, la qual cosa suscita disprezzo verso la sua persona. Il dolo di diffamazione è generico e può anche essere indiretto; oltretutto, nel caso deciso da Cass. 13563/'98 si trattava di una ripubblicazione di una vignetta di Vauro, già apparsa sul settimanale "Cuore", sul magazine il "Venerdì di Repubblica".
Ora ci sono gli elementi perché anche coloro che non sono avvocati o giuristi possano formarsi un convincimento ed esprimerlo votando il sondaggio di Studio Cataldi:
Sondaggio: Nitto Palma annuncia querela contro Maurizio Crozza per una battuta. Tu con chi stai?
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