di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 10959 del 9 Maggio 2013. L'art. 2119 cod. civ. (recesso per giusta causa) stabilisce la facoltà per le parti - lavoratore e datore di lavoro - di recedere dal contratto sottoscritto qualora si verifichi una causa che determini l'impossibilità di continuare il rapporto di lavoro. Tali presupposti vanno valutati dal giudice caso per caso, rilevandone la gravità proprio nel concreto. Nel caso di specie ricorre il lavoratore avverso il licenziamento inflitto dalla società presso cui prestava servizio poiché, a suo dire, il suo comportamento non avrebbe integrato giusta causa di recesso unilaterale, risultando quindi la sanzione sproporzionata rispetto al comportamento di fatto tenuto.

 

Interviene sul punto la Suprema Corte ricordando come, proprio perché ogni situazione è da valutarsi nel contesto concreto in cui si verifica, anche se un singolo episodio può apparire privo di significato ai fini di cui all'articolo sopra citato, il susseguirsi di episodi simili, se esaminati congiuntamente, possono giustificare la correttezza d'applicazione della sanzione disciplinare.

Cassata con rinvio quindi la decisione adottata dalla Corte d'Appello poiché "la Corte infatti nell'esprimere un giudizio di sproporzione della sanzione irrogata rispetto alla condotta contestata ed accertata, ha, per un verso, del tutto omesso di valutare alcune circostanze di fatto, emerse nel corso dell'istruttoria e, per altro verso, mancato di verificare se le stesse, poste in relazione con le altre condotte accertate, fossero, ove complessivamente valutate, rivelatrici di un comportamento del dipendente che violava i doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto, così giustificandone la risoluzione".

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