di Carmelo Cataldi - Il legislatore italiano ha da sempre nel passato, ma a maggior ragione oggi in cui fenomeni di sovraffollamento del sistema carcerario e della parcellizzazione della regolamentazione dell'attività umana sotto il profilo penale stanno ponendo il serio problema della promozione di sistemi deflazionistici e di prevenzione dei rispettivi fenomeni, tenuto in debita considerazione l'istituto della riabilitazione, sia quella di natura civilistica, ma soprattutto quella di natura penale.
Nel codice penale troviamo regolato l'istituto, da ricondurre ad una intrinseca funzione prettamente premiale e promozionale, con cui si tende a reintegrare il condannato nella posizione giuridica precedente alla pronunciata sentenza di condanna, dagli artt. 178 e 179 (Riabilitazione e Condizioni per la riabilitazione).
La riabilitazione, come istituto promozionale, va a incidere sulle pene accessorie e gli effetti penali della condanna, non esclusi per legge; si pensi ad esempio in materia elettorale o amministrativa, in cui la riabilitazione penale permette al condannato di riacquistare una primaria capacità di diritto e di agire ex nunc.
Per ottenere tale beneficio l'interessato deve inoltrare domanda al Tribunale di Sorveglianza competente per territorio, a pena di inammissibilità, decorsi almeno tre anni, 8 anni in caso di soggetto recidivo, o 10 anni in caso di soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, dall'ultima condanna espiata o sospesa condizionalmente.
I presupposti di carattere soggettivo per ottenere la riabilitazione penale sono quelli previsti ai commi dell'art. 179 del c.p. e precisamente:
- non essere stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione di straniero dello Stato, ovvero di confisca e per cui il provvedimento è stato revocato;
- aver adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, oppure aver dimostrato di essersi trovato nell'impossibilità di adempiere.
Aldilà di questi parametri, di natura prettamente ordinamentali, il Tribunale dovrà tenere conto, secondo anche e soprattutto, della condotta tenuta dal riabilitando nel periodo preso in considerazione al fine di deliberare positivamente per la concessione del beneficio.
L'istituto, anche se prevede inizialmente la presentazione della domanda ad opera anche direttamente dell'interessato senza particolare formalità, nelle fasi successive richiede necessariamente l'intervento di un legale che assuma la difesa del riabilitando in udienza, che terminerà con un'ordinanza di rigetto o di accoglimento.
L'iter che si presenta come un vero e proprio procedimento giudiziario, necessita dunque di tempi anche lunghi, in considerazione della necessaria raccolta delle informazioni che il Tribunale dovrà effettuare, soprattutto in relazione al presupposto della buona condotta tenuta nel periodo di valutazione da parte del richiedente.
Infine è importante sottolineare che in caso di inammissibilità della domanda o di rigetto della medesima il richiedente non potrà presentare altra istanza se non dopo due anni dall'esito negativo della stessa, mentre in caso di accoglimento la concessa riabilitazione può essere revocata in caso di commissione di delitto non colposo per il quale sia stata inflitta una condanna dalla pena non inferiore a due anni di reclusione, entro i sette anni successivi dalla concessione riabilitativa.
La riabilitazione, come istituto generale, peraltro non si presenta come un'istituto monolitico e onnicomprensivo di tutte le specialità ordinamentali presenti nell'ordinamento italiano, infatti, oltre alla generica riabilitazione penale, esiste, a titolo esemplificativo, anche la riabilitazione civile, quella per esempio del fallito, che trova il suo fondamento legislativo nel R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (la Legge fallimentare) agli articoli da 142, 145 e 241, o del debitore protestato ai sensi dell'art. l7 della legge 108/1996.
Ma anche all'interno della stessa riabilitazione penale esistono caratteri di specialità in relazione alla persona direttamente interessata e soprattutto del suo stato civile o del suo status di cittadino in uniforme.
Si fa qui riferimento alle due specialità dell'istituto della riabilitazione penale che vengono definite come la riabilitazione speciale per i minorenni e la riabilitazione militare, senza dimenticare una terza, specialissima e poco frequente, che attiene alla riabilitazione di persone assoggettate a misure di prevenzione e che in quest'occasione non tratteremo, dando spazio brevissimo a quella relativa ai minorenni e concentrando l'attenzione invece su quella militare.
La riabilitazione di persone assoggettate a misure di prevenzione rappresenta un unicum all'intero dell'istituto perché l'oggetto della valutazione ha come parametro non una condanna penale bensì una misura di prevenzione, tanto che essa viene prevista dell'art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327 e può essere richiesta dall'interessato trascorsi 3 anni dalla cessazione della misura o cinque se la persona sia appartenuta ad associazioni di stampo mafioso.
Specialità nella specialità, chi si occupa dell'istruzione e della decisone è la Corte d'Appello nel cui distretto è presente l'A.G. cha ha disposto la misura, in forza del dispositivo, di carattere generale, di cui all'art. 683 del c.p.p. a cui appunto il comma 3 dell'art. 15 della legge 327/1988 farebbe riferimento, anche se vi è giurisprudenza (Cass. sez. I 3 febbraio 2000 n. 215381) che attribuisce l'ufficio al Tribunale di Sorveglianza di competenza.
La riabilitazione penale per i minori, che risulta speciale rispetto a quella ordinaria, e che tra i suoi presupposti fondamentali non prevede soltanto una condanna dell'istante la riabilitazione, essendo ammessa anche per fatti che hanno dato luogo al proscioglimento dello stesso, facendo salve le limitazioni stabilite per la concessione della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale, vede, come suo giudice naturale, il Magistrato di Sorveglianza istituito presso il Tribunale per i minorenni competente per territorio, ai sensi dell'art. 3 comma 2 del DPR 22 settembre 1988 n. 448, mentre è attraverso l'art. 24 commi 3 e 4 del R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404 e ss. che si disciplinano i termini di presentazione dell'istanza di riabilitazione del minore e che consistono in un arco temporale che va dai 18 ai 25 anni di età del richiedente.
Superato il termine di 25 anni di età la concessione della riabilitazione, ad opera dell'organo giudiziario competente, non può prescindere dalla valutazione di tutte quelle condizioni generali stabilite all'art. 179 del c.p. e dunque anche delle obbligazioni di natura civile emergenti dalla commissione dei reati di cui si chiede la riabilitazione.
In virtù di questo specifico termine temporale imposto si è dibattuto, nel tempo, sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 commi 3 e 4 del R.D.L. 1404/1934 con riferimento all'art. 3 della Costituzione per la presunta disparità di trattamento in relazione a due punti quali l'età del soggetto e la possibilità di richiesta d'ufficio ad opera del pubblico ministero. La Corte Costituzionale (con decisione del 26 luglio 1979 n. 95) dichiarò infondate le questioni, affermando che non apparivano irragionevoli la fissazione del termine e la possibilità di azione autonoma del p.m. .
Infine, alcuni giuristi hanno altresì avanzato l'ipotesi di applicazione del diritto superveniens nel senso che ritengono superate le misure previste dalla normativa del periodo regio ad opera del nuovo codice di procedura penale del 1989.
Diversamente è da ritenersi, anche a parere di chi scrive, in quanto l'istituto della riabilitazione speciale per i minori, inserita nella legge istitutiva del Tribunale per i minorenni (art. 24 R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404) non è stato, dalla entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, abrogato in ogni forma, sia espressamente che tacitamente, non sussistendo incompatibilità tra le nuove disposizioni e il contenuto della norma sostanziale che prevede la riabilitazione speciale per i minori, perché secondo il legislatore delegante dette incompatibilità dovevano essere limitate alla disciplina del processo minorile secondo i principi generali del nuovo processo penale (Cass. I, sent. 78 del 10-3-92 ).
Altra specialità giuridica, che risulta inserita all'interno dell'istituto generale della riabilitazione penale, è quella militare che, parallelamente all'istituto "madre", grazie all'aggettivazione militare, ribalta all'interno dell'ordinamento speciale militare, in parte, i presupposti e gli effetti della riabilitazione ordinaria, anche se la Suprema Corte ha più volte riaffermato che l'istituto principale e quello speciale si differenziano chiaramente per le finalità perseguite dagli stessi.
In effetti, mentre per la riabilitazione ordinaria è sufficiente che il condannato dia prove effettive e costanti di buona condotta, ai fini di ottenere il beneficio riabilitativo, per quella militare è necessario invece un quid in più che deve essere sufficiente a reintegrare il vulnus creato all'onore militare (Cass. sez. I 8 luglio 1991 n. 187898), risultando inoltre necessario anche il buon esito degli accertamenti specificatamente previsti dall'art. 5 del R.D.L del 3 settembre 1936 n. 1847 (Cass. pen. 6 maggio 1991 n. 658).
Ulteriore aspetto differenziativo, tra riabilitazione ordinaria e militare, è quello dell'interesse alla domanda di riabilitazione, infatti, mentre la riabilitazione ordinaria è utile per l'eliminazione di effetti che in futuro potrebbero derivare dalla condanna, quella militare è necessaria solo se dalla condanna siano derivate pene accessorie militari o effetti penali militari, quali la perdita del grado, delle decorazioni, di distinzioni onorifiche e simili e pertanto un'eventuale domanda, laddove non fossero state irrogate ed eseguite pene accessorie militari o effetti penali militari, sarebbe dichiarata inammissibile e dunque rigettata.
Insomma, soltanto se l'interessato ha necessità di un reintegro nello status militare o di onori militari perduti, a seguito di condanna prettamente militare, potrà avanzare una richiesta di riabilitazione militare.
Dibattuta è stata, nella differenziazione tra le due tipologie di riabilitazione, anche la questione riguardante il giudice naturale da adire, per entrambi con domanda, poiché stante la specialità di quella militare, rispetto a quella ordinaria, la duplicità della competenza per materia ha creato qualche dubbio sulla scelta del giudice competente.
Il dubbio era sopravvenuto con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedurale penale (il c.d. Codice Vassalli) ma la Suprema Corte ha rilevato che, anche in vigenza del nuovo istituto procedurale, il Tribunale Militare di Sorveglianza è competente a decidere sulla domanda di riabilitazione militare per l'estinzione delle pene militari accessorie e gli altri effetti penali militari già indicati sommariamente (Cass. sez. I 25 gennaio 1991 nn. 186667-8).
Con il medesimo giudicato però la Suprema Corte ha sentenziato che la predetta domanda di riabilitazione militare ha necessità di avere come presupposto imprescindibile l'aver ottenuto, per lo stesso reato per cui si richiede la riabilitazione speciale militare, anche quella ordinaria dal giudice competente ai sensi dell'art. 683 del c.p.p. .
Di contro, con la medesima logica, si è escluso che, ai sensi dell'art. 683 c.p.p. e 4 della legge 7 maggio 1981 n. 180, che istituisce la Sezione di Sorveglianza all'interno della Corte Militare di Appello, il Tribunale Militare di Sorveglianza sia competente alla riabilitazione, per condanne disposte dell'A.G. Militare, sia per quella militare che per quella ordinaria e prodromica alla predetta.
La duplicità processuale, di cui sopra, trova la sua piena giustificazione nel procedimento riabilitativo previsto dal codice penale militare di pace e specificatamente dal combinato disposto degli artt. 412 e 72 del c.p.m.p. .
L'art. 412 del c.p.m.p. prevede che: "Il tribunale militare di sorveglianza, a domanda della persona riabilitata a norma della legge penale comune, può ordinare, con decisione in camera di consiglio, previe le conclusioni del procuratore generale militare della Repubblica e a seguito degli accertamenti che ritenga necessari, che gli effetti dell'ottenuta riabilitazione siano estesi alle pene militari accessorie e a ogni altro effetto penale militare della sentenza.
La decisione può essere pronunciata altresì a seguito di richiesta di ufficio del procuratore generale militare della Repubblica.
Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del codice di procedura penale.", mentre l'art. 72 prevede altresì che: "La riabilitazione ordinata a norma della legge penale comune non estingue le pene militari accessorie e gli altri effetti penali militari.
Nei confronti della persona riabilitata a norma della legge penale comune, le pene militari accessorie e ogni altro effetto penale militare si estinguono con la riabilitazione conceduta nei modi stabiliti dalla legge penale militare.
La sentenza della riabilitazione conceduta a norma del comma precedente è revocata di diritto nei casi preveduti dagli articoli 180 e 181 del codice penale.".
Da questo formulare combinato disposto ne discende che:
la su esposta preordinazione della riabilitazione ordinaria, rispetto a quella militare, è necessaria ed ineludibile (art. 412 c. 1° c.p.m.p.) e che la riabilitazione militare risulta essere, così, un'estensione di quella ordinaria che però primeggia su questa, anche in considerazione del 3° comma del medesimo articolo che rimanda in ogni caso alle disposizioni del codice di procedura penale;
di contro non avviene allo stesso modo l'estinzione delle pene accessorie militari e gli effetti penali militari con la sola riabilitazione penale ordinaria (art. 72 c. 1° c.p.m.p.);
la richiesta di riabilitazione può essere promossa d'ufficio anche dal Procuratore Generale Militare della Repubblica (art. 412 c. 3°) a differenza di quanto avviene per quella ordinaria e conformemente invece a quella per i minori;
infine esiste un parallelismo tra le due riabilitazioni in tema di revocazione del beneficio, riconducendo l'istituto speciale all'interno del codice di procedura penale ai sensi degli artt. 181 e 182 c.p.p. (art. 72 c. 3° c.p.m.p.) e cioè quando il condannato, entro i sette anni successivi alla concessione del beneficio, commette un altro delitto non colposo la cui pena supera i due anni di reclusione, anche se il reato è stato commesso all'estero.
Entrambi i codici non eliminano però il dubbio se il delitto commesso, la cui condanna farebbe revocare il beneficio militare, debba essere di natura penale o penale militare, ma ritenendo in via generale predominate il c.p.p. rispetto al c.p.m.p. si deve concludere che è ininfluente una distinzione dicotomica del reato e della conseguente condanna, in quanto il legislatore se avesse voluto esternare questa differenziazione l'avrebbe fatta esplicitamente secondo il principio "ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit"!
In forma del tutto residuale occorre, per completezza dell'argomento, trattare qui anche della riabilitazione militare in tempo di guerra, istituto specialissimo previsto dal titolo IV (della riabilitazione di guerra) del Libro I del C.P.M.G agli artt. 42, 43, 44, 45 e 46, in cui praticamente l'oggetto del titolo è relativo alle condizioni per ottenere la riabilitazione piuttosto che all'oggetto stesso della riabilitazione penale militare.
Ovviamente una riabilitazione penale militare per reati speciali commessi in tempo di guerra, ad oggi, in considerazione del convitato di pietra (direi della pietra miliare) di cui all'art. 11 della Costituzione Repubblicana, non ha motivo più di esistere, se si tiene conto che qualche sporadico caso avrà interessato qualche reduce dell'ultimo conflitto mondiale e nessuno, credo, della 2° guerra in Irak, dove per un brevissimo tempo fu adottato il codice penale militare di guerra.
Comunque, per terminare questo intervento sulla riabilitazione militare in tempo di guerra, è bene precisare che possono richiedere tale beneficio coloro che :
per atti di valore personale compiuti in fatti d'armi o in servizi di guerra, abbiano conseguito una promozione per merito di guerra o una ricompensa al valore, anche se non sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge penale comune (art. 42 c. 1 c.p.m.g.) e laddove i militari interessati abbiano conseguito più promozioni per merito di guerra o più ricompense al valore, non si applica la disposizione denegatoria di cui all'ultimo comma dell'art. 179 del c.p. (art. 42 c. 2 c.p.m.g.);
pur non avendo conseguito alcuna delle attestazioni di merito o di valore indicate nell'articolo 42 del c.p.m.g., abbiano adempiuto con fedeltà e onore i loro doveri nelle operazioni o in servizi di guerra. Il computo dei periodi per la concessione della riabilitazione è pari ad un anno per ogni trimestre di campagna compiuto o anche solamente iniziato (art. 43 c. 1 e 2 c.p.m.g.);
pur non avendo conseguito una promozione per merito di guerra e una ricompensa al valore, abbiano adempiuto con fedeltà e onore i loro doveri nelle operazioni o in servizi di guerra e siano stati dichiarati invalidi, con diritto a pensione privilegiata di guerra, per una delle lesioni o infermità indicate nella legge sulle pensioni di guerra (art. 45 c.p.m.g.).
Esiste, ancora, all'interno dello stesso titolo, l'esimente temporale di cui all'art. 44 che dispone di disattendere i termini stabiliti dalla legge agli effetti dell'estinzione delle incapacità de quo per quei militari che, trovandosi soggettivamente nelle condizioni indicate dall'art. 42 del c.p.m.g., sono colpiti da incapacità da addebitare al proscioglimento militare e per cui, ai sensi del 2° comma dell'art. 44, per i militari che si trovano nelle condizioni indicate nell'articolo 43, il termine indicato è ridotto alla metà.
Limiti cogenti, infine, sono previsti per esclusione del diritto alla riabilitazione militare in tempo di guerra per quei i militari condannati per alcuno dei seguenti reati commessi e sembra pleonastico dirlo, durante lo stato di guerra:
tradimento;
spionaggio;
abbandono di posto in presenza del nemico;
diserzione;
mutilazione volontaria o infermità procurata per sottrarsi all'obbligo del servizio militare.
La parte speciale di questa sintetica trattazione andrebbe necessariamente approfondita, in particolar modo per quella di più probabile applicazione della riabilitazione militare, quella di pace, ma i termini dell'impegno fin qui assunto ne hanno determinato i limiti entro quanto sinora esposto. Mi riservo, in un secondo momento, la redazione di una vera e propria monografia.
Dr. Carmelo CataldiConsigliere Giuridico in Diritto delle Operazioni Militari.
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