di Davide Vaccaro - La Suprema Corte, con ordinanza depositata il 17 maggio 2013, ha forse scritto una pagina storica. Storica per la lucida e brillante ricostruzione del requisito dell'interesse ad agire in giudizio e di quello della "rilevanza della questione di legittimità costituzionale", che sembrerebbe a prima vista mancare in un giudizio che abbia il chiaro scopo di far dichiarare l'incostituzionalità di alcuni articoli della legge elettorale e, solo secondariamente, di far accertare la violazione del proprio diritto costituzionale al voto libero, uguale e diretto dei membri del Parlamento. Afferma la Corte "l'espressione del voto costituisce oggetto di un diritto involabile e permanente dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione. Lo stato di incertezza al riguardo è fonte di un pregiudizio e ciò è sufficiente per giustificare la meritevolezza dell'interesse ad agire in capo ai ricorrenti". Afferma inoltre che "ci sono leggi che creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali nel momento stesso in cui la legge entra in vigore si trovano già pregiudicati da esse, senza bisogno dell'avverarsi di un fatto che trasformi l'ipotesi legislativa in un concreto comando". 


Ma è un provvedimento certamente storico soprattutto per i risvolti importantissimi che potrebbe avere l'eventuale accoglimento da parte del Giudice delle Leggi dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati. La Suprema Corte, riformando la sentenza della corte territoriale che aveva erroneamente ritenuto la legge elettorale come una "zona franca" sottratta dal controllo di legittimità costituzionale a ragione dell'elevata discrezionalità di cui il legislatore godrebbe in materia, censura tre norme della Legge Calderoli: 

1) Quella che prevede il premio di maggioranza alla camera; 

2) Quella che prevede il premio di maggioranza al senato; 

3) Quella che prevede l'elezione dei deputati e dei senatori in lista "bloccate" senza l'espressione di alcuna preferenza.

Quanto al primo punto la Corte, citando l'ordine del giorno Perassi che, in sede costituente, aveva sottolineato la necessità di strumenti idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di governo

, osserva come il premio di maggioranza che assegna il 55% dei seggi alla colazione che abbia riportato anche un solo voto in più sia assolutamente irrazionale. Essa afferma: "se quindi è vero che tale finalità [quella della stabilità del governo, n.d.r.] può giustificare una limitata deroga al principio della rappresentanza e la sottrazione alla minoranza di un certo numero di seggi (cui essa avrebbe diritto in base al calcolo proporzionale), tuttavia occorre pur sempre che il meccanismo che consente la traduzione dei voti in seggi non determini una sproporzione talmente grave da risultare irragionevole e, quindi, in violazione dell'art. 3 Cost.". Ulteriore punto d'incostituzionalità è la violazione del principio di uguaglianza del voto. La Corte ritiene vero che ogni sistema elettorale provochi una distorsione più o meno consistente nella fase finale dell'assegnazione dei seggi, tuttavia la distorsione provocata dal porcellum è irrazionale perché "normativamente programmata per tale esito", sì che la scheda di coloro che hanno votato per la coalizione che poi risulterà di maggioranza ha un peso esagerato. 

Quanto al premio di maggioranza al senato la Suprema Corte è ancora più dura. La violazione del principio di uguaglianza del voto, qui, sarebbe ancora più grave perché, essendo il premio di maggioranza assegnato su base regionale, il "peso del voto è diverso a seconda della collocazione geografica dei cittadini elettori", i quali avrebbero maggior "peso" se residenti in una regione più popolosa che esprime più seggi piuttosto che in una regione che ne esprime pochi. 

Quanto all'abolizione del voto di preferenza il dubbio di legittimità sorge in merito all'articolo 48 comma 2 che prevede il suffragio diretto dei deputati e dei senatori. La Cassazione, quindi, chiede alla Corte Costituzionale di valutare se il sistema elettorale a liste bloccate, in cui l'elettore non può esprimere alcuna preferenza ma solo tracciare il segno su una lista, possa essere definito a suffragio diretto, o se un tale sistema non abbia surrettiziamente creato un'elezione indiretta dei parlamentari, non secondo il numero di preferenze ricevute direttamente dai cittadini ma secondo un ordine progressivo predisposto dai partiti, i quali devono concorrere a determinare la politica nazionale ma non possono sostituirsi al corpo elettorale. 

Ormai il dado è tratto. La politica deve decidersi a sciogliere la paralisi dalla quale è avvinta da troppo tempo, e a cambiare una legge elettorale che, altrimenti, è destinata a cadere sotto la scure impietosa della Corte Costituzionale la quale, probabilmente suo malgrado, si vedrà costretta a sopperire alle mancanze e alle negligenze di una politica che preferisce "tirare a campare" piuttosto che "tirare le cuoia". 

Davide Vaccaro - davide.vaccaro@gmail.com


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