Avv. Nicola Traverso - A causa delle difficoltà finanziarie in cui versano molte amministrazioni pubbliche, negli ultimi anni vari provvedimenti sono stati emanati dal Legislatore al fine di bloccare le azioni esecutive svolte dai creditori nei confronti della Pubblica Amministrazione. In tali casi le procedure esecutive già intraprese vengono sospese, mentre quelle nuove vengono del tutto impedite.
Di seguito si analizzano due casi particolarmente rilevanti.
1. Enti locali dichiarati in "dissesto finanziario"
Secondo l'art. 244 del T.U.E.L. (Testo Unico degli Enti Locali, D.Lgs. 267/2000), si ha "stato di dissesto finanziario" se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi, cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie.
Il soggetto centrale della procedura di risanamento è l'organo straordinario di liquidazione (o "commissario straordinario", da cui l'espressione comune "enti commissariati"), il quale provvede al ripiano dell'indebitamento pregresso con i mezzi consentiti dalla legge e, in particolare, provvede sia alla rilevazione della massa passiva, sia alla liquidazione della medesima. Ai sensi dell'art. 254, l'organo straordinario di liquidazione, entro 10 giorni dalla data dell'insediamento, dà avviso dell'avvio della procedura di rilevazione delle passività dell'ente locale. Il commissario invita chiunque ritenga di averne diritto a presentare, entro un termine perentorio di 60 giorni (prorogabile per una sola volta di ulteriori 30 giorni), la domanda in carta libera, corredata da idonea documentazione, atta a dimostrare la sussistenza del debito dell'ente, il relativo importo ed eventuali cause di prelazione, per l'inserimento nel piano di rilevazione (una sorta di "insinuazione al passivo").
Sull'inserimento nel piano di rilevazione delle domande dei creditori decide il commissario, con provvedimento da notificare agli istanti al momento dell'approvazione del piano, tenendo conto degli elementi di prova desunti dalla documentazione prodotta, e/o da altri atti o attestazioni. Queste caratteristiche rendono la procedura in esame sostanzialmente concorsuale.
Avverso i provvedimenti di diniego di inserimento nel piano di rilevazione per insussistenza, totale o parziale, del debito o avverso il mancato riconoscimento di cause di prelazione è ammesso ricorso in carta libera, entro il termine di 30 giorni dalla notifica, al Ministero dell'Interno.
Ciò detto riguardo agli aspetti procedurali, va evidenziato che - per quanto qui più interessa - a seguito alla richiesta di ammissione al beneficio, "Le procedure esecutive intraprese nei confronti dell'ente sono sospese a far data dalla deliberazione di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale di cui all'articolo 243-quater, commi 1 e 3" (art. 243-bis, co. 4).
In altri termini, fino alla data di approvazione o di diniego del piano di riequilibrio pluriennale, non è possibile promuovere (o proseguire) procedure esecutive nei confronti di un Ente che abbia fatto ricorso alla procedura in oggetto e per i debiti che rientrino nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione.
2. Aziende sanitarie locali o ospedaliere delle Regioni sottoposte ai "piani di rientro dai disavanzi sanitari"
Nel settore sanitario pubblico, viene in rilievo il d.l. 78/2010 (convertito nella l. 122/2010). Per le Regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari di cui alla l. 311/2004, e già commissariate alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi dei medesimi Piani di rientro nella loro unitarietà, anche mediante il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei medesimi piani, è previsto che i commissari ad acta procedano alla ricognizione di tali debiti, predisponendo un piano, che individui modalità e tempi di pagamento. Al fine di agevolare tale procedura, fino al 31 dicembre 2013 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime (il limite temporale originariamente previsto per tale blocco delle esecuzioni, ossia il 31 dicembre 2010, è stato successivamente prorogato dal legislatore di anno in anno, da ultimo con il "decreto Balduzzi", d.l. 158/2012).
La legge di stabilità 2011 (art. 1, co. 51, L. 220/2010) ha poi aggiunto che i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni in questione alle Aziende Sanitarie Locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del d.l. 78/2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo (anche questo termine è stato poi prorogato). Va sottolineata la particolare incidenza di tale norma, nella misura in cui rende inefficaci in via retroattiva anche i pignoramenti eseguiti in data antecedente rispetto all'entrata in vigore della legge, consentendo agli enti debitori di rientrare nella piena disponibilità delle somme dovute, ancorchè pignorate (al contempo elidendo posizioni consolidate per effetto di procedure esecutive giurisdizionali).
Le norme ora citate si collocano nel quadro della disciplina introdotta dalla legge 311/2004, sulla formazione del bilancio dello Stato. In tale normativa è previsto che lo Stato concorra al ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale mediante un finanziamento integrativo, condizionato all'adozione da parte delle Regioni dei provvedimenti al riequilibrio finanziario (con la precisazione che, qualora la regione non provveda, si procede al commissariamento).
Dal quadro normativo ora richiamato emerge che il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere presuppone: a) che esse operino in regioni commissariate secondo la procedura di cui alla legge 131/2003; b) che siano stati predisposti piani di rientro dai disavanzi sanitari, ai sensi della legge 311/2004; c) che sia stata effettuata la ricognizione dei debiti di cui alla l. 78/2010.
Gli obiettivi dell'attuazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle regioni commissariate e del contemporaneo mantenimento dei livelli di assistenza, a tutela del fondamentale diritto alla salute, presuppongono che l'amministrazione conservi integri e nel loro complesso i beni strumentali e funzionali all'erogazione delle prestazioni sanitarie, nonostante sia gravata da una situazione debitoria tale da pregiudicarne l'equilibrio economico e finanziario. Il blocco delle azioni esecutive dovrebbe quindi permettere il raggiungimento di entrambi gli obiettivi.
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3. Il blocco delle esecuzioni e il giudizio di ottemperanza
In entrambi i casi suesposti, contro gli enti indicati non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. Ci si è chiesti, tuttavia, se si possa ricondurre il giudizio amministrativo di ottemperanza e i relativi provvedimenti del commissario ad acta a un'esecuzione civilistica vera e propria, oppure se il giudizio di ottemperanza mantenga una sua specificità, e quindi possa essere escluso dai suindicati blocchi alle esecuzioni.
Il dubbio nasce, in particolare, dalla differenza tra le finalità e gli effetti del giudizio amministrativo di ottemperanza e quelli propri delle procedure esecutive civilistiche.
Invero, mediante l'azione di ottemperanza esperita per la soddisfazione di una pretesa pecuniaria risultante da una sentenza passata in giudicato del giudice ordinario o da un provvedimento giurisdizionale ad essa equiparato (come il decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva), il creditore non aggredisce esecutivamente singoli beni, sottraendoli alla loro destinazione funzionale e vincolandoli alla soddisfazione della propria pretesa, bensì ottiene che il giudice si sostituisca all'amministrazione, direttamente o indirettamente per il tramite di un commissario ad acta, nel compimento degli atti necessari per l'adempimento del debito. Atti, che consistono nel reperimento delle somme necessarie per la soddisfazione del credito, eventualmente anche mediante il ricorso a finanziamenti, nei limiti consentiti dalla legge, ma non nel pignoramento e nella successiva assegnazione o vendita di beni determinati, che sono invece atti diretti a realizzare la conversione in denaro di beni determinati a soddisfazione del creditore.
In altre parole, tale procedura amministrativa non incide direttamente sui beni, mobili o immobili, che la P.A. utilizza per l'erogazione dei servizi pubblici, né sulle somme che in base alla legge sono destinate all'erogazione degli stessi. Ciò, invece, accade nel processo di esecuzione in senso stretto, caratterizzato dal pignoramento, il quale, da un lato, produce l'effetto giuridico di vincolare determinati beni del debitore al soddisfacimento del creditore e, dall'altro, è prodromico alla soddisfazione coattiva del credito mediante l'assegnazione o la vendita, secondo la disciplina posta dagli artt. 491 e seguenti del codice di procedura civile.
Tuttavia, la giurisprudenza di merito maggioritaria - basandosi sul carattere prevalentemente esecutivo (più che di cognizione) del giudizio di ottemperanza, specie quando lo stesso ha ad oggetto sentenze o atti equiparati del giudice ordinario, recanti la condanna della P.A. al pagamento di somme di denaro - ritiene che le suesposte differenze non valgano a escludere il giudizio di ottemperanza dal novero delle azioni esecutive "paralizzate" dai provvedimenti di legge descritti sopra.
A) Per quanto riguarda il blocco delle esecuzioni contro gli enti commissariati per dissesto finanziario, esistono numerose pronunce che depongono per l'equiparazione tra esecuzione civilistica e ottemperanza. Tra le tante, si evidenzia la recente ordinanza del TAR Calabria del 26/2/13, che ha dichiarato la sospensione del giudizio intrapreso da un cittadino, per l'ottemperanza di una sentenza di condanna contro il Comune di Cosenza. I Giudici del TAR calabrese, in particolare, decidevano per la sospensione del giudizio, sulla base del fatto che il Comune si trovava in stato di commissariamento per dissesto finanziario ai sensi dell'art. 243-bis TUEL (in questo senso, si vedano anche TAR Sicilia, Catania, sentenza 7 gennaio 2013 n. 5; Consiglio di Stato, sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 226; Consiglio di Stato, sez. IV,10 agosto 2011, n. 4772).
In particolare, è stato evidenziato che la procedura di liquidazione dei debiti (da parte del commissario straordinario) è essenzialmente dominata dal principio della par condicio dei creditori, in relazione alla molteplicità dei debiti contratti da un ente pubblico poi dichiarato dissestato, sicché la tutela della concorsualità comporta, in linea generale, l'inibitoria anche del ricorso di ottemperanza, in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore.
B) Per quanto attiene invece alle Aziende sanitarie locali o ospedaliere delle Regioni sottoposte ai "piani di rientro dai disavanzi sanitari", la giurisprudenza si presenta divisa, fronteggiandosi due antitetiche posizioni.
La prima include i giudizi di ottemperanza tra le procedure esecutive paralizzate, ritenendo che la differenza ontologica tra le due azioni non esclude che l'incidenza sul patrimonio del debitore sia sostanzialmente identica (si veda in questo senso TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 9 maggio 2011, n. 689 e Cons. Stato, sez. III, 20 dicembre 2011, n. 6681).
La seconda invece (principalmente sostenuta dal TAR Lombardia), oltre a mettere in risalto le summenzionate differenze ontologiche tra esecuzione e ottemperanza, offre una lettura della normativa europea (Direttiva n. 2000/35/CE, poi abrogata dalla Direttiva n. 2011/7/UE) e italiana (in primis il d.lgs. 231/2002) sui ritardi nei pagamenti della P.A. più sensibile alle ragioni dei creditori e tesa all'effettività delle tutele offerte agli stessi dall'ordinamento (si vedano in questo senso: TAR Lombardia, Milano, sez. I, 27 aprile 2012 n. 1243; TAR Lombardia, Milano, 17 giugno 2011, n. 1573).
La sentenza del TAR Veneto, Venezia, sez. I, 6 novembre 2012, n. 1345, inoltre, aderendo all'indirizzo del TAR lombardo, osserva altresì quanto segue: a seguito del giudizio di ottemperanza, spetta al commissario ad acta la valutazione e l'individuazione dei beni e delle utilità che possono essere destinati alla soddisfazioni del credito, anche attraverso l'accensione di mutui e altre attività volte alla definizione della provvista, così da escludere tutte quelle utilità necessarie ed indispensabili per salvaguardare la funzione istituzionale e primaria delle strutture sanitarie. Ciò potrebbe anche comportare che, malgrado l'attivazione dell'ottemperanza e la nomina del commissario ad acta, la reale e concreta situazione dell'ente non consenta di reperire economie idonee a soddisfare al contempo il diritto del creditore e le esigenze, costituzionalmente tutelate, della salute della collettività. Tale possibile evenienza dimostrerebbe dunque l'evidente peculiarità dell'ottemperanza, che la escluderebbe dai blocchi alle esecuzioni contro le ASL.
Recentemente, il Legislatore ha tentato di porre rimedio ai contrasti interpretativi, espressamente stabilendo - in seno alla norma che ha prorogato il blocco alle esecuzioni contro le ASL fino al 31/12/2013 (d.l. 158/2012, convertito in l. 189/2012) - che le azioni di ottemperanza per il recupero di crediti contro le ASL sono bloccate al pari delle esecuzioni.
4. I dubbi di legittimità costituzionale
In conclusione, va evidenziato che sullo specifico tema del blocco alle esecuzioni contro le Aziende sanitarie locali e ospedaliere delle Regioni sottoposte a piani di rientro del disavanzo sanitario - soprattutto a seguito degli ultimi interventi del legislatore, in particolare la legge 220/2010 e la legge 189/2012 - è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale: si vedano in questo senso le ordinanze di rimessione di TAR Campania, Salerno, ord. n. 16 e 17 del 7 settembre 2011, n. 18 del 11 ottobre 2011, TAR Campania, Napoli, ord. n. 50 del 14 dicembre 2011, Tribunale di Napoli, ord. n. 58 del 21 novembre 2011, Tribunale di Napoli- sez. dist. Pozzuoli, ord. n. 137 del 12 dicembre 2011 e Tribunale di Napoli, sez. dist. Pozzuoli, ord. 189 del 24 maggio 2012 (tutte riguardanti l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, co. 51, l. 220/2010 nella versione ante "Decreto Balduzzi") e l'ordinanza di TAR Calabria, Reggio Calabria, ord. n. 42 del 16 gennaio 2013 (riguardante l'illegittimità della stessa norma nella versione post "Decreto Balduzzi").
Tutte le predette ordinanze fanno leva sui principi del giusto processo (art. 111 Cost, dal punto di vista della parità delle parti, nonché della ragionevole durata del processo), dell'effettività della tutela dei creditori (artt. 24, co. 1-2 Cost., nonché art. 47 Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, cd. Carta di Nizza), di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), e sulla normativa comunitaria sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali (Direttiva 2000/35 CE, oggi n. 2011/7/UE).
Al fine di sapere con certezza se il giudizio di ottemperanza sia o meno ricompreso nel blocco delle esecuzioni contro le ASL, e in generale se le norme sueposte siano costituzionalmente legittime, occorrerà dunque attendere la decisione della Consulta (l'udienza pubblica si è tenuta il 27 marzo 2013: il relativo filmato è consultabile sul sito istituzionale della Corte).