di Teresa Fiortini - Il principio di offensività, benché non sia espressamente disciplinato da alcuna disposizione normativa, costituisce uno dei pilastri su cui si basa il nostro sistema di diritto penale. Esso impone che siano punite soltanto quelle condotte che ledono o mettono in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
A tale principio si è riferita la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 23319, sez. VI Penale, depositata il 29 maggio 2013 che ha ritenuto di escludere la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di "quantitativi talmente tenui e con principio attivo irrilevante".
Un uomo, condannato a un anno e 3 mesi di reclusione e alla multa di 4mila euro per aver detenuto, ai fini di spaccio, gr. 12,50 di hashish, ha deciso di ricorrere in Cassazione censurando la sentenza impugnata in relazione al mancato accertamento del grado di purezza della sostanza stupefacente sequestrata, là dove ha sostenuto che per l'hashish un tale accertamento "assume scarso significato".
Gli Ermellini, in disaccordo con la posizione dei giudici di merito, hanno chiarito che l'accertamento della purezza della sostanza è necessario anche in presenza di circostanze di fatto indicative della destinazione allo spaccio; e se il reato di cessione di sostanze stupefacenti è configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola consentita, tuttavia "deve escludersi la sussistenza del reato qualora abbia ad oggetto condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui e con principio attivo irrilevante tale da non poter indurre, neppure in maniera trascurabile, la modificazione dell'assetto neuropsichico dell'utilizzatore".
I Giudici di Piazza Cavour erano già pervenuti a conclusioni analoghe con riferimento alla coltivazione domestica di piante stupefacenti. In particolare, il giudice della nomofilachia ha ribadito la necessità che il giudice di merito verifichi sempre l'effettiva offensività della condotta accertata alla luce delle circostanze del caso concreto, quali le modalità della coltivazione, il quantitativo di principio attivo estraibile, il grado di maturazione delle piantine etc..(Cass. 25674/2011).
Teresa Fiortini
A tale principio si è riferita la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 23319, sez. VI Penale, depositata il 29 maggio 2013 che ha ritenuto di escludere la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di "quantitativi talmente tenui e con principio attivo irrilevante".
Un uomo, condannato a un anno e 3 mesi di reclusione e alla multa di 4mila euro per aver detenuto, ai fini di spaccio, gr. 12,50 di hashish, ha deciso di ricorrere in Cassazione censurando la sentenza impugnata in relazione al mancato accertamento del grado di purezza della sostanza stupefacente sequestrata, là dove ha sostenuto che per l'hashish un tale accertamento "assume scarso significato".
Gli Ermellini, in disaccordo con la posizione dei giudici di merito, hanno chiarito che l'accertamento della purezza della sostanza è necessario anche in presenza di circostanze di fatto indicative della destinazione allo spaccio; e se il reato di cessione di sostanze stupefacenti è configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola consentita, tuttavia "deve escludersi la sussistenza del reato qualora abbia ad oggetto condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui e con principio attivo irrilevante tale da non poter indurre, neppure in maniera trascurabile, la modificazione dell'assetto neuropsichico dell'utilizzatore".
I Giudici di Piazza Cavour erano già pervenuti a conclusioni analoghe con riferimento alla coltivazione domestica di piante stupefacenti. In particolare, il giudice della nomofilachia ha ribadito la necessità che il giudice di merito verifichi sempre l'effettiva offensività della condotta accertata alla luce delle circostanze del caso concreto, quali le modalità della coltivazione, il quantitativo di principio attivo estraibile, il grado di maturazione delle piantine etc..(Cass. 25674/2011).
Teresa Fiortini
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