di Luigi Del Giudice - L'art. 42 del t.u.l.p.s. (r.d. 18 giugno 1931 n. 773), dopo aver disposto il divieto di portare fuori della propria abitazione armi ed altri strumenti impropri di offesa ivi elencati, rimette alla valutazione dell'autorità di pubblica sicurezza la facoltà di rilasciare la licenza di porto d'armi e ciò sul presupposto di un "dimostrato bisogno" che assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare armi sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, della legge n. 110 del 1975, sicché, in tale quadro normativo, il controllo effettuato al riguardo dall'autorità di P.S. viene ad assumere connotazioni particolarmente pregnanti e severe (Consiglio Stato , sez. VI, 6 aprile 2010 n. 1925 e 22 maggio 2008 n. 2450).
La mancata dimostrazione, da parte del richiedente, dell'assoluto bisogno di portare l'arma giustifica perciò la negata autorizzazione, non potendosi tale necessità desumersi automaticamente dalla particolare attività professionale da lui svolta e dalle modalità del suo svolgersi ovvero dal fatto di operare in un ambiente ad alto tasso di pericolosità o di criminalità organizzata.
Infatti, il rilascio della licenza rappresenta una eccezione rispetto alla regola per la quale i cittadini devono di norma essere disarmati e, quindi, il presupposto deve essere vagliato restrittivamente, mentre lo stato di bisogno deve essere dimostrato in concreto, non potendosi ritenere sufficiente, a questi fini, l'appartenenza dell'interessato ad una determinata categoria professionale o lo svolgimento di una determinata attività economica o istituzionale.
E' quindi da considerare legittimo il decreto prefettizio di rigetto di porto d'armi, in mancanza di precisi elementi fattuali, dato che il rilascio dell'autorizzazione non può essere concesso sulla base di un'affermata, potenziale e probabilistica sussistenza di un pericolo, come conseguenza(nel caso oggetto del parere del Consiglio di Stato 01857/2013), dell'attività di guardia venatoria volontaria (in funzione della quale ora la Provincia di Ferrara, con specifico regolamento , non ravvede alcun particolare bisogno di armamento e, in più, esclude che le guardie provinciali volontarie vadano in servizio armate, quand'anche in possesso di porto d'armi).
Luigi Del Giudice
www.polizialocaleweb.com
La mancata dimostrazione, da parte del richiedente, dell'assoluto bisogno di portare l'arma giustifica perciò la negata autorizzazione, non potendosi tale necessità desumersi automaticamente dalla particolare attività professionale da lui svolta e dalle modalità del suo svolgersi ovvero dal fatto di operare in un ambiente ad alto tasso di pericolosità o di criminalità organizzata.
Infatti, il rilascio della licenza rappresenta una eccezione rispetto alla regola per la quale i cittadini devono di norma essere disarmati e, quindi, il presupposto deve essere vagliato restrittivamente, mentre lo stato di bisogno deve essere dimostrato in concreto, non potendosi ritenere sufficiente, a questi fini, l'appartenenza dell'interessato ad una determinata categoria professionale o lo svolgimento di una determinata attività economica o istituzionale.
E' quindi da considerare legittimo il decreto prefettizio di rigetto di porto d'armi, in mancanza di precisi elementi fattuali, dato che il rilascio dell'autorizzazione non può essere concesso sulla base di un'affermata, potenziale e probabilistica sussistenza di un pericolo, come conseguenza(nel caso oggetto del parere del Consiglio di Stato 01857/2013), dell'attività di guardia venatoria volontaria (in funzione della quale ora la Provincia di Ferrara, con specifico regolamento , non ravvede alcun particolare bisogno di armamento e, in più, esclude che le guardie provinciali volontarie vadano in servizio armate, quand'anche in possesso di porto d'armi).
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